Eřliq, Tidei (55.63°N 0.12°E)
(50°05'N 0°20'E in misurazioni terrestri)
Anno 1, giorno 1 (equinozio di primavera)
"Hanno inventato il calendario!", dissero dei nomadi messaggeri mentre passeggiavano per le strade di Eřliq.
"Da oggi potrete sapere esattamente quando è successa una cosa! Oggi è l'anno 1, giorno 1!", continuarono.
Gli abitanti furono felici di questa invenzione e tutti presero un calendario.
"Mi sembra abbastanza interessante, tu cosa ne pensi?", chiese Tüş a Mèv.
Mèv onestamente non sapeva neanche a cosa servisse il calendario, ma in qualche modo finse di saperne per sembrare intelligente.
"Io penso che sia l'invenzione più utile della storia, da oggi le cose cambieranno in meglio!", disse Mèv.
"E come?", chiese Tüş, incuriosito.
Mèv iniziò a sudare freddo: non ne aveva la minima idea e iniziò a improvvisare.
"Il calendario è stato inventato per migliorare la nostra vita sotto molti aspetti", disse Mèv, molto vagamente.
Tüş sorrise, era felice a causa di questa nuova invenzione.
"Ti va di camminare per le strade?", chiese Mèv, sorridendo.
"Certo", rispose Tüş, serio.
Iniziarono a camminare per le strade. Il cielo era grigio come quasi sempre e questo piaceva a Tüş, mentre Mèv preferiva il tempo soleggiato (molto raro a Eřliq), anche se certamente non era una sua ragione di vita. I due amici continuarono a camminare per il villaggio e ammirarono le case degli altri. Mèv sorrise.
"Quindi... che facciamo?", chiese Tüş, pronto a qualsiasi attività.
"Chiacchieriamo", disse Mèv, sorridendo.
"Sai, io penso che la vita sia limitata, perché non c'è molto da fare se ci pensi", disse Tüş, consapevole della condizione dell'umanità.
Mèv sorrise e guardò Tüş negli occhi.
"Ci sono tantissime cose da fare, Tüş: possiamo chiacchierare, abbracciarci, ballare, camminare tenendoci per mano, disegnare, raccontarci storie, cantare e tanto altro. Pensi ancora che la vita sia limitata?", disse Mèv, felice.
"Non so che dire...", disse Tüş.
"Vuoi un abbraccio?", chiese Mèv, sorridendo e aprendo le braccia.
"No, non mi piacciono gli abbracci", disse Tüş.
"Oh, d'accordo", disse Mèv, seria.
Tüş forzò un sorriso e continuò a camminare.
"Cosa vuoi?", chiese Mèv.
"Niente", rispose Tüş."Capisco", disse Mèv, sentendosi un po' a disagio per la mancanza di desideri da parte di Tüş. Se Tüş non ha desideri, certamente Mèv non può aiutarlo a essere felice, ma forse Tüş è già felice. L'unico modo per saperlo è chiederglielo.
"Come stai?", chiese Mèv a Tüş. Tüş si fermò, e dalla sua espressione si intuiva che questa domanda lo aveva imbarazzato. Tüş non sapeva se dire la verità oppure no. Alla fine, decise di optare per la menzogna.
"Bene", disse Tüş.
Mèv sorrise e fu felice di questo. Pensava che Tüş fosse una persona spiritualmente molto forte per stare bene senza motivo. Pensava che Tüş fosse speciale. Non sapeva quanto fosse ingenua nel credere a una tale menzogna, e non sapeva quanta sofferenza si celava nella vita di Tüş.
"Ti va di camminare tenendoci per mano?", chiese Mèv, sorridendo.
"No, non mi piace il contatto fisico", rispose Tüş.
Mèv sorrise e accettò l'opinione di Tüş.
"Quindi non vuoi niente", disse Mèv.
"Già", rispose Tüş.
Stettero in silenzio e continuarono a camminare. Guardarono il loro bellissimo villaggio e almeno Mèv fu felice. Tüş pensava di nascondere per sempre la verità su come egli stesse. Nessuno doveva scoprire la verità su come stava, sarebbe stato veramente scomodo per lui. Mèv era la sua migliore amica, certo, ma neanche lei lo doveva sapere. Avere un segreto può essere frustrante, mettere ansia, imbarazzo, ma non deve essere svelato in nessuna occasione.
Mèv si domandava perché Tüş sorridesse così poco, e forse il suo segreto rischiava di essere compromesso.
"Quindi...", rifletté Mèv nella sua mente, "non vuole essere abbracciato, non ha desideri, sorride poco ma sta bene... c'è qualcosa di strano ma non so cosa"
Mèv guardò Tüş negli occhi e sorrise, mentre Tüş ebbe un'espressione leggermente imbarazzata ma sorrise comunque.
"Corriamo?", chiese Mèv.
Tüş rifiutò la proposta, dicendo che non voleva sforzarsi troppo. Era difficile mantenere il segreto, ma non doveva dire né fare nulla che potesse comprometterlo, sarebbe stato davvero umiliante, anche se Mèv era la sua migliore amica. Nonostante tutti i momenti belli passati con lei, Tüş non voleva rivelare tutti i suoi sentimenti: doveva tenerli segreti ma fare ciò si stava rivelando molto difficile, ma poteva farlo, poteva tranquillamente nascondere tutto senza problemi e Mèv non lo verrà mai a sapere, bastava fingere di sorridere e tutto si sarebbe risolto.
Mèv vedeva Tüş sorridere e pensava che egli si sentisse davvero bene, ma era molto ingenua e non capiva le menzogne neanche quando erano ovvie. Pensava che Tüş fosse spiritualmente super-umano e che non avesse bisogno di conforto, ma questo lo spingeva in una spirale di tristezza. Se solo dicesse la verità, tutto questo si potrebbe evitare, ma Tüş era troppo orgoglioso di sé stesso per ammettere di stare male.
Intanto, le persone più colte di Eřliq discutevano a proposito del calendario. C'era una credenza comune sul fatto che la vita degli abitanti sarebbe cambiata radicalmente. Per il meglio, ovviamente.
"Che il calendario ci proteggerà dalla morte?", speculò Vetòřž, ottimista.
Gli altri segnarono questo momento sul calendario. Era un giorno importantissimo per la storia del Tidei, e i colti erano molto emozionati e specularono. Ovviamente c'erano anche i pessimisti come Bifkàļ: una giovane studentessa che non credeva che il calendario migliorerà la vita delle persone.
"Non voglio rovinare il vostro entusiasmo, ma io penso che il calendario non ci proteggerà dalla morte, penso anche che non ci aiuterà a vivere meglio, la fame e le malattie ci saranno sempre, e non sarà di certo il calendario a eliminarle", disse Bifkàļ, ma questo non rovinò l'ottimismo di Vetòřž.
"Sai una cosa? Da oggi potremo sapere esattamente in che giorno è nato o è morto qualcuno, quando è soleggiato e quando è nuvoloso, in che giorno i cacciatori ci hanno portato carne di Žubk e tante altre cose. Ora abbiamo il completo controllo del tempo, e in futuro inventeremo altri strumenti che ci permetteranno di vivere la vita che abbiamo sempre sognato, non trovi che sia un buon inizio?", disse Vetòřž.
"Io penso che le risorse che abbiamo nel nostro mondo siano limitate e che quindi la fame non potrà mai essere risolta", disse Bifkàļ, vicina a gettare Vetòřž nello sconforto.
"Come puoi pensare una cosa del genere? Io sono sicuro che la nostra condizione di infelicità verrà presto risolta, bisogna solo essere pazienti e aspettare", disse Ülux, sorridendo e mettendo Vetòřž a proprio agio.
"E adesso come possiamo essere felici?", chiese Bifkàļ, preoccupata.
"Semplice, continuiamo a essere gentili con tutti come abbiamo sempre fatto", disse Vetòřž, sorridendo.
"La gentilezza non ci sfamerà e non ci curerà dalle malattie", disse Bifkàļ, pessimista come sempre.
"Certo che no, ma è meglio essere circondati da persone gentili che da persone arroganti", disse Vetòřž. Il suo ottimismo era contagioso e perfino Bifkàļ sorrise.
"Sai, penso che tu abbia ragione, la gentilezza ci aiuterà, ma il calendario... pochissimo, purtroppo", disse Bifkàļ.
Continuarono a discutere e capirono i vantaggi del calendario, e Opgüf fu felicissima che da oggi in poi potrà studiare il clima di Eřliq. Opgüf ha una scala personale di freddo e di caldo chiamata "temperatura", ma purtroppo non c'è alcun modo di misurarla oggettivamente. Oggi per Opgüf la temperatura è -1: cioè leggermente freddo. Finalmente Opgüf potrà capire i segreti del clima di Eřliq e anche analizzare tutti i giorni alla perfezione. Già aspettava l'arrivo dell'estate per vedere quanto sarà calda secondo la sua scala. Questa invenzione stava rendendo felici tutti ma Bifkàļ non sapeva proprio che farsene del suo calendario, visto che nella sua vita secondo lei non succedeva niente di emozionante, ma decise che avrebbe provato comunque a scrivere ciò che succedeva.
Tüş e Mèv continuavano a camminare per le strade.
"Mi piace stare con te", disse Mèv.
Tüş arrossì leggermente e sentì una sensazione strana ma piacevole, anche se era parecchio imbarazzato. Cercò di dissimulare il tutto cambiando argomento.
"Sembra che stia per piovere", disse Tüş.
"Sei sicuro?", chiese Mèv, felice per la possibile pioggia.
"È una mia supposizione", disse Tüş, sperando che piovesse, perché la pioggia solitamente lo fa stare un po' meglio.
"A te piace la pioggia?", chiese Mèv.
"Non ho nessuna opinione sulla pioggia", disse Tüş.
Mèv amava bagnarsi con la pioggia: la sensazione delle goccie d'acqua sui suoi capelli e la sua faccia la faceva stare molto bene e si chiedeva se anche Tüş provasse la stessa sensazione. Visto che, secondo Mèv, Tüş sta sempre bene, non è necessario che ci sia la pioggia. Il cielo era coperto di nuvole grigie e scure, cariche di pioggia, ma non stava piovendo in quel momento e secondo i colti non avrebbe piovuto oggi.
Mèv non sapeva di cosa parlare: era stanca di parlare di argomenti inutili e voleva fare un discorso profondo.
"Tüş, vuoi dirmi qualcosa?", chiese Mèv, sorridendo.
"No, non mi viene in mente niente", disse Tüş.
"Questo è molto interessante: la vita è così complessa e vasta, e noi parliamo di cose banali come la pioggia. Io ho voglia di conoscere nuove cose, ti va se iniziamo a frequentare una scuola?", chiese Mèv, pensando che la scuola avrebbe permesso loro di fare discorsi filosofici.
"No, non mi va", disse Tüş, perché voleva rimanere una persona semplice e soprattutto non aveva le forze di fare niente, né tantomeno di sforzarsi a studiare.
"D'accordo, forse sarebbe un'idea cattiva ora che ci penso bene", disse Mèv, ridendo.
Tüş continuò ad avere uno sguardo serio e Mèv proprio non capiva quale fosse il problema, ma sapeva che Tüş stesse bene, quindi non si pose il problema per troppo tempo. Mèv era felice che Tüş stesse bene, e decise che domani avrebbe camminato con lui nuovamente, forse anche per tutti i giorni del resto della loro vita, e per adesso decise di essere felice a causa di questo bellissimo momento. I due amici stettero fermi e zitti, e c'è poco da dire su due persone che non fanno niente.
Bifkàļ andò in una taverna per bere succo di bacche.
"Sei sola? Vuoi che ti faccio compagnia?", chiese un ragazzo, sorridendo.
"Per me va bene", rispose Bifkàļ, sorridendo anche lei, ma in modo abbastanza imbarazzato.
"Sai, sono un po' timido, ma sto cercando di non esserlo più, e tu mi sembri già simpatica", disse il ragazzo.
Bifkàļ non notò che quello fosse un complimento e non considerò di aggiungere questo momento sul calendario.
"Come ti chiami?", chiese Bifkàļ.
Il ragazzo si aspettò un complimento da lei, ma pensò solo che fosse un po' distratta e rispose alla sua domanda.
"Io mi chiamo Z̧avar̆ţéq, e tu?"
"Io mi chiamo Bifkàļ", disse lei, ancora un po' timida.
"Ti va se diventiamo amici?", chiese Z̧avar̆ţéq.
"Va bene", disse Bifkàļ, cercando di fare il possibile per rendere Z̧avar̆ţéq felicissimo.
"Sono così felice", disse Z̧avar̆ţéq, ridendo allegramente.
Bifkàļ si sentì sollevata e sorrise.
"Sai, mi sembri una persona molto piacevole con cui stare. Come hai intenzione di usare il tuo calendario?", chiese Bifkàļ.
"Non lo userò, non sono mai andato a scuola e quindi non so scrivere", disse Z̧avar̆ţéq, vergognandosi di sé stesso.
"Tranquillo, posso insegnartelo io!", disse Bifkàļ, molto felice.
Z̧avar̆ţéq si sentì ancora più vergognato e rifiutò l'offerta.
"Qualcosa non va?", chiese Bifkàļ, preoccupata.
"Mi vergogno di non saper scrivere e mi vergogno ancora di più se me lo insegni tu", ammise Z̧avar̆ţéq, quasi in lacrime.
Bifkàļ sorrise.
"Sai, nessuno impara a scrivere da solo, c'è sempre qualcuno che te lo insegna, anche a me lo ha insegnato qualcuno", disse Bifkàļ appoggiando il suo braccio sulla spalla di Z̧avar̆ţéq in segno di amicizia.
"C'è solo un problema. Non ho voglia di studiare", ammise Z̧avar̆ţéq, estremamente vergognato.
"Non preoccuparti, te lo insegnerò molto lentamente", disse Bifkàļ, disponibile.
"Va bene", disse Z̧avar̆ţéq.
"Ci vedremo a casa mia domani alle ore 50.00", disse Bifkàļ, felice di diffondere la conoscenza.
Z̧avar̆ţéq sorrise e ordinò il succo di bacche. Era felice di aver conosciuto una ragazza affascinante come Bifkàļ, ma allo stesso era preoccupato di non riuscire a imparare a scrivere. Non era mai andato a scuola e pensava che sarebbe stato davvero faticoso, ma pensava anche che Bifkàļ glielo avrebbe reso semplice. Era felice, preoccupato ma anche molto emozionato: finalmente avrebbe imparato a leggere e a scrivere e così imparerà sia a scrivere storie e a leggere quelle degli altri.
Bifkàļ era felice di diffondere la conoscenza nel suo villaggio e sperava che entro mille anni tutti gli abitanti adulti del Tidei sapranno leggere e scrivere. Un sogno molto ambizioso che Bifkàļ non vedrà mai realizzato con i suoi occhi, ma ella era fiduciosa nell'umanità.
"Questo succo di bacche è delizioso", disse Bifkàļ, felice, bevendone due bicchieri.
"Anche a me piace molto", disse Z̧avar̆ţéq, allegro.
"Cosa ti va di fare?", chiese Bifkàļ, iniziando ad annoiarsi.
"Disegniamo qualcosa! Anche se non so scrivere, posso comunque disegnare", disse Z̧avar̆ţéq, fiducioso della sua creatività.
"E quando imparerai a scrivere, pensa alle storie bellissime che scriverai!", disse Bifkàļ, sorridendo a bocca aperta.
Z̧avar̆ţéq si sentì felice a causa del complimento e la ringraziò.
"Grazie mille! Mi fai sentire importante", disse Z̧avar̆ţéq, gioioso.
Bifkàļ chiese un foglio e una penna, poi iniziarono a disegnare. Z̧avar̆ţéq disegnò un ragazzo che combatteva contro dei mostri, salvando il villaggio.
"Sei davvero bravo!", disse Bifkàļ, fiera di lui.
Z̧avar̆ţéq fu felicissimo e si sentì molto bene, sperava che le sue future storie sarebbero state epiche quanto il suo disegno. Decise che appena imparerà a scrivere avrebbe scritto la storia più epica mai scritta in Tidei e che tutti lo ricorderanno come miglior scrittore del Tidei. Ovviamente è un sogno estremamente ambizioso, ma Z̧avar̆ţéq ci credeva veramente e fu felice.
"Mi è venuta un'idea! Facciamolo vedere agli altri!", disse Z̧avar̆ţéq, voglioso di complimenti.
"Buona idea", disse Bifkàļ.
Fecero vedere il disegno a un gruppo di persone.
"Chi lo ha fatto?", chiese un ragazzo, sorridendo.
"Io", disse Z̧avar̆ţéq, sorridendo.
"È fantastico!", disse il ragazzo, e tutti furono d'accordo.
"Grazie amici", disse Z̧avar̆ţéq, più che felice.
Bifkàļ acquisì la consapevolezza che stare con altre persone è molto bello e segnerà questo ragionamento sul calendario, però, pessimista come sempre, si fece tante scene mentali su come lei e Z̧avar̆ţéq potrebbero smettere di essere amici.
"Litigherò mai con lui?", si chiese, preoccupata. "Cercherò di essere sempre sua amica e di renderlo felice, non importa cosa succederà", pensò, soddisfatta della sua condotta.
Intanto, Mèv e Tüş continuarono ad ammirare il villaggio e a camminare. Tüş si sentiva bene quando stava con Mèv: era come se tutto il dolore e tutta la tristezza accumulata fosse svanita. Guardò Mèv negli occhi ed entrambi sorrisero senza dire nulla: era sufficiente uno sguardo per capire che si volevano bene.
"Ti voglio bene", disse Mèv, sorridendo.
Tüş era commosso, era una frase che sentiva dire spesso, ma ogni volta la felicità era la stessa.
"Grazie Mèv, ricordi quando ti ho detto che stavo bene? Sto bene grazie a te", disse Tüş.
Mèv sorrise e fu felice di questo.
"Se hai bisogno io ci sarò sempre per te", disse Mèv, disponibile a essere sempre con lui.
Tüş per qualche motivo smise lentamente di sorridere.
"Secondo te ci sono persone senza neanche un amico?", chiese Tüş.
"Forse sì, ma io le troverò e le farò stare meglio", disse Mèv, sorridendo.
Tüş già sapeva che Mèv fosse gentile, ma per qualche motivo fu comunque piacevolmente sorpreso.
"Ma realisticamente, penso che tutti abbiano degli amici", disse Mèv, seria e convinta di ciò che diceva.
Tüş sorrise di nuovo, ma fu un sorriso leggero.
"C'è qualche pensiero che ti preoccupa?", chiese Mèv.
"No, niente affatto, sto bene, grazie... sei un'ottima amica", disse Tüş, emozionato.
"Grazie Tüş! Anche tu mi piaci molto!", disse Mèv, volendo tanto abbracciare Tüş anche se non poteva perché a lui non piaceva il contatto fisico.
Furono davvero felici e nulla poteva rovinare questo momento. Camminarono allegri e tranquilli per le strade di Eřliq. Mèv vide un ragazzo e una ragazza camminare per le strade tenendosi per mano.
"Lo facciamo anche noi?", chiese Mèv.
Tüş non sapeva a cosa Mèv si stesse riferendo.
"Eh? Cosa?", disse Tüş, confuso.
"Camminare tenendoci per mano", disse Mèv, sorridendo.
"Il contatto fisico mi infastidisce", disse Tüş.
"Capisco", disse Mèv, un po' dispiaciuta.
Camminarono finché Mèv sentì le gambe stanche.
"Sediamoci da qualche parte", disse Mèv.
I due si sedettero su una roccia e guardarono il cielo, sorridendo felici.
"A volte mi chiedo perché noi umani esistiamo. Qual è il nostro scopo?", chiese Tüş.
"Secondo me il nostro scopo nella vita è essere felici", disse Mèv.
"Davvero? E allora come spieghi la fame, le malattie e la morte? Come spieghi il fatto che noi dobbiamo uccidere gli animali per sopravvivere?", disse Tüş, gettando Mèv nello sconforto.
"Non lo so, Tüş", disse Mèv, seria e un po' malinconica.
"Scusa, è che non mi spiego perché la natura sia così crudele", disse Tüş.
"Stai tranquillo, era una domanda più che lecita, ma io non so cosa abbiamo fatto di male per meritarci questo", disse Mèv, con un'espressione calma ma sconfitta.
"Scusa se te lo ho ricordato", disse Tüş, sentendosi in colpa.
"Non ti preoccupare, la vita è fatta sia di cose brutte che di cose belle, e non solo di cose belle", disse Mèv, sorridendo per far sentire meglio Tüş.
"Ho bisogno di parlarti", disse Tüş.
"Dimmi", disse Mèv, disponibile ad ascoltarlo.
"Io avrei voluto che la natura fosse meno crudele, ad esempio che non avessimo avuto bisogno di mangiare per sopravvivere, che non ci fossimo mai ammalati e che la morte non fosse mai esistita", disse Tüş, triste.
"Ti capisco, anche a me sarebbe piaciuto se la vita fosse stata solo piacevole, ma dimmi una cosa, adesso come stai?", chiese Mèv.
"Sto bene", disse Tüş, non provando neanche a camuffare la sua espressione sofferente.
"Sei sicuro? A me non sembra che tu stia bene", disse Mèv.
Tüş temeva che il suo segreto sarà svelato.
"Ho solo freddo, stai tranquilla", disse Tüş, trovando una scusa banale e facendo uscire il vapore dalla sua bocca per dimostrarlo.
"Vuoi venire a casa mia? C'è caldo la dentro", disse Mèv.
"Non c'è bisogno, ti ho già detto che sto bene", disse Tüş, nervoso.
"Va bene, ti credo, è solo che le tue parole dicono una cosa, ma il tuo viso dice l'opposto", disse Mèv, preoccupata e confusa. Voleva che Tüş stesse bene per davvero.
"Sto bene, non preoccuparti per me", disse Tüş.
"D'accordo, farò come mi stai chiedendo", disse Mèv, sorridendo.
Tüş si sentì sollevato, per un momento pensava che il suo segreto stesse per essere rivelato.
"Non c'è molto da fare", disse Tüş.
"Invece c'è, sei tu che non vuoi fare niente", disse Mèv.
"Non è vero!", disse Tüş, agitato.
"Cosa vuoi fare allora?", chiese Mèv.
"Chiacchierare mentre stiamo qui seduti", disse Tüş.
"A me piace", disse Mèv.
Tüş sorrise, cercando di dimenticarsi il discorso sulla morte.
"Oggi è una bellissima giornata", disse Tüş.
"Perché?", chiese Mèv, curiosa.
"Perché ho capito che tu sia molto gentile", disse Tüş.
Mèv fu grata per il complimento.
"Grazie, Tüş, i complimenti fanno sempre piacere", disse Mèv, sorridendo felice.
Era ancora mattina, e i due amici hanno ancora una lunga giornata per chiacchierare e divertirsi insieme, Tüş approfittava di questi momenti per sentirsi bene ed essere felice, e ringraziò spesso Mèv per ogni gentilezza compiuta da lei.
Intanto, Opgüf segnava la temperatura sul calendario.
"Anno 1, giorno 1. Temperatura: -1"
Opgüf cercava di essere più oggettiva possibile, e voleva che tutti conoscessero il clima di Eřliq entro un anno.
"Finalmente, il mio sogno si avvererà presto", pensò Opgüf, sorridendo soddisfatta.
Era una giornata nuvolosa, grigia, senza vento e soggettivamente fredda: una tipica giornata di inizio primavera a Eřliq, e Opgüf segnò ogni particolare meteo. Voleva capire quante giornate soleggiate ci sono nel suo villaggio in un anno.
Il meteo era una passione di Opgüf sin da quando era piccola: aveva sempre avuto la preferenza per le giornate fredde e soleggiate, ma il cielo a Eřliq è quasi sempre grigio. A lei sarebbe piaciuto un inverno più freddo e soleggiato, ma anche quello di Eřliq le piaceva.
Ella vide un ragazzo per strada, lo fermò e gli chiese:"Ti piace il clima di questo villaggio?"
"Mi piacerebbe se fosse sempre estate", rispose il ragazzo.
"Grazie per avere espresso la tua opinione, ciao!", disse Opgüf, sorridendo e andandosene.
Opgüf era emozionata e impaziente che l'anno finisse, come quando qualcuno inizia a fare qualcosa e fantastica su come sarà il lavoro finito. Il tempo sembrava passare lentamente, ma ella decise comunque che avrebbe scritto il meteo sul calendario ogni singolo giorno per il resto della sua vita: in questo modo voleva contribuire alla diffusione della conoscenza, e sperava che anche altre persone di altre città e di altri villaggi ebbero avuto la stessa idea, così da conoscere il clima di tutti i villaggi del mondo e capire dove è più conveniente trasferirsi, a seconda dei gusti. C'è solo un piccolo problema: visto che la temperatura è soggettiva, ogni persona segnerebbe un valore diverso, perciò è il compito di Opgüf viaggiare per il mondo e segnare le temperature, ma purtroppo la brevità della vita non glielo permette. Decise di studiare il clima di Eřliq alla perfezione, senza tralasciare alcun dettaglio, e decise anche che chiederà a dei nomadi messaggeri di chiedere ai colti di registrare il meteo di ogni villaggio o città del mondo. Glielo chiederà adesso.
Opgüf andò dai nomadi messageri.
"Buongiorno!", disse, sorridendo allegra.
"Buongiorno anche a te! Hai qualche messaggio da inviare?", chiese Řivma, un ragazzo di cui Opgüf si stava già innamorando.
"Sto parlando con te", disse Řivma, ridendo amichevolmente.
Opgüf si rese conto che lo stava fissando e si svegliò dal suo stato di trance.
"Oh, scusa", disse lei, ridendo, "Volevo chiederti se puoi chiedere a tutte le città se qualcuno possa registrare il meteo"
"Registrare il meteo? Sai che è una cosa soggettiva, vero?", disse Řivma, amichevolmente.
"È per questo che diamo dei valori oggettivi. La media d'inverno a Eřliq è -5, mentre d'estate è +5, d'accordo?", disse Opgüf, speranzosa.
"Ma se non sono mai stati in questo villaggio, come possono sapere che temperatura c'è?", disse Řivma, serio.
"Posso venire con voi l'anno prossimo?", chiese Opgüf, supplicando i nomadi messaggeri.
"No, è troppo pericoloso, è meglio se rimani qui", disse Řivma, cercando di avvertirla dei pericoli che si possono trovare uscendo da un villaggio.
"Perché?", chiese Opgüf.
"Possono esserci tempeste, temperature estreme a cui non sei abituata, bestie feroci che ti possono attaccare alle spalle, mancanza di acqua e di cibo, e dovrai camminare tutto il giorno senza poter più tornare a casa", disse Řivma.
"Non è un problema per me, perfavore, portatemi con voi l'anno prossimo", chiese Opgüf, implorandoli quasi in lacrime.
"Dovrai sottoporti a un duro allenamento, e potresti rischiare la vita nel lungo viaggio, sei davvero sicura che vuoi questo?", chiese Řivma, avvertendola.
"Sì", disse Opgüf, seria.
"Bene, la tua avventura avrà inizio molto presto", disse Řivma, sorridendo.
Mèv e Tüş stavano ancora insieme e decisero di stare insieme fino al calare del sole. Tüş stava bene con Mèv e non voleva che questo momento finisse perché per lui era un grosso sollievo dai pensieri brutti che lo perseguitavano.
Mèv voleva che Tüş fosse felice, e cercava sempre di dire qualcosa di carino e divertente per farlo sorridere più spesso. Non poteva sopportare che qualcuno si sentisse triste, ma visto che pensava che Tüş fosse felice, anche lei lo era.
Mèv si mise a camminare saltellando allegramente e Tüş la guardò incuriosito.
"Mi sembri felice", disse Tüş, sorridendo.
"Certo! Come potrei non essere felice vicino a un amico come te?", disse Mèv, guardando Tüş negli occhi e sorridendo.
Tüş provò gioia nel suo animo e capì la cosa migliore da fare per non ricadere nell'oscurità era stare con Mèv tutto il giorno, tutti i giorni. Non poteva permettersi che la negatività lo divorasse nuovamente, non voleva più provare dolore, per cui decise che non avrebbe più lasciato la sua amica. Mai più. Stare sempre con lei ha dei vantaggi enormi sulle sue emozioni e non voleva di certo perdere questa opportunità meravigliosa.
"Staremo sempre insieme, vero?", chiese Tüş, arrossendo.
"Certo, Tüş! Saremo amici per sempre!", disse Mèv, sorridendo allegramente.
Tüş si sentì meglio, ma aveva costantemente bisogno di complimenti e frasi carine, cose che non mancano di certo quando si sta con Mèv.
Tutto era perfetto, e stando con Mèv c'è una probabilità quasi impossibile di essere tristi. La sua allegria metteva Tüş di buon umore, e vedere la faccia sorridente di Mèv gli faceva sentire una bella sensazione.
"Sono stanca, sediamoci", disse Mèv, sedendosi su una roccia insieme a Tüş.
Tüş fissò Mèv negli occhi e sentì una sensazione strana nello stomaco. Non si stava rendendo conto di starla fissando per tanto tempo con un'espressione da innamorato. Mèv si limitò a fissarlo a sua volta, sorridendo.
"Ho fame", disse Mèv, facendo "svegliare" Tüş.
"Cosa mi è successo! No, Mèv è solo un'amica!", pensò Tüş.
"Andiamo a casa mia, ho un po' di carne di Žubk, se vuoi puoi mangiarla anche tu", disse Mèv, volendo condividere il suo cibo con un grande amico.
"Ah, sì, grazie, sei molto altruista", disse Tüş, leggermente imbarazzato.
I due amici andarono a casa di Mèv, ed entrambi furono grati di avere cibo, anche se Tüş si sentì triste a causa del fatto che bisogna uccidere gli animali per sopravvivere, almeno a Eřliq, dove il clima non è abbastanza caldo per coltivare la frutta e la verdura.
"Ti piace il pesce? Se vuoi lo cuciniamo", disse Mèv.
"Certo", disse Tüş, grato dell'altruismo di Mèv.
Mèv aprì la porta di casa sua e salutò i suoi genitori, abbracciandoli. Quella visione rattristì Tüş, facendogli provare una fitta al cuore.
"Stai bene?", chiese Mèv, preoccupata.
"Sì", disse Tüş, non molto convincente.
"Se vuoi puoi entrare a casa nostra, sei il benvenuto", disse la madre di Mèv, sorridendo in modo ospitale.
"D'accordo...", disse Tüş, triste.
"Sei sicuro di stare bene?", chiese Mèv.
"Sì", disse Tüş, guardando per terra per non far vedere i suoi occhi sofferenti.
Mèv lo guardò preoccupata, sorrise leggermente e disse:"La carne di Žubk è pronta"
Tüş mangiò molto lentamente, anche se la carne era deliziosa, non era felice.
Mèv si chiese perché dopo così tanto tempo, Tüş non aveva finito il suo piatto, pensò che forse non era felice, dopotutto, ma ogni volta che glielo chiedeva, Tüş diceva di stare bene, e Mèv, ingenuamente, ci credeva ogni volta.
"Ti va di sederci vicini al fuoco?", chiese Mèv, pensando che questo lo avrebbe fatto rilassare.
"Sì", disse Tüş, sospirando con uno sguardo perso nel vuoto.
Mèv e Tüş si sedettero sul pavimento davanti al camino, senza dire nulla, semplicemente stando vicini come dei veri amici.
"Ti va di chiacchierare?", disse Mèv.
"No, scusa", disse Tüş.
Mèv si avvicino un po' di più a Tüş e stettero a guardare il fuoco per ore. Mentre lo guardavano e si scaldavano Mèv si sentiva rilassata, mentre Tüş si dimenticò cosa lo aveva fatto stare male. Il rumore della legna bruciante era comfortevole per entrambi e le cose stavano andando per il verso giusto.
"Non ti fa venire sonno?", chiese Mèv a bassa voce.
"Non mi fa venire sonno, mi fa riflettere", rispose Tüş.
Mèv era curiosa di sapere su cosa Tüş stesse riflettendo, ma non glielo voleva chiedere, per paura di essere troppo invadente. La legna stava ancora bruciando, ma Tüş sapeva che prima o poi quel momento sarebbe finito e che il camino si sarebbe spento: la giusta metafora sulle sue emozioni.
Anche se il calore fece provare a Tüş un po' di sollievo, dentro di sé sapeva che non si sentiva bene quanto nel momento in cui stava camminando fuori con Mèv al freddo.
Mèv si sentiva benissimo, anche se aveva la sensazione che Tüş si sentisse male.
"Tüş dice che sta bene, ma allora perché si comporta così? Sono confusa", pensò Mev.
Il fuoco era ancora lontano dallo spegnersi, e Tüş decise di stare davanti a esso finché egli si sentirà meglio.
Tüş finalmente sorrise, e Mèv fu felice, pensando che allora è vero che Tüş sta bene. Stettero molte altre ore davanti al fuoco e si rilassarono.
"Ti voglio bene, Tüş", disse Mèv, rilassata.
"Grazie, è bello sentirselo dire", disse Tüş, felice.
Mèv si sdraiò sul pavimento e chiuse gli occhi, felice. Tüş sorrise vedendola.
Tüş si alzò perché è stato troppo seduto gli facevano un po' male le gambe. Decise di stare tutta la sera a casa di Mèv.
"Posso dormire a casa vostra?", chiese Tüş.
"Certo che sì!", disse Mèv, allegra e ospitale.
Tüş si sentì bene. Ogni volta che non sta con Mèv, egli si sente afflitto e disperato, ma ora non c'è più bisogno di sentirsi così, da oggi Tüş vivrà per sempre con Mèv.
Mèv fu felice di avere Tüş in casa: era un'occasione da non sprecare per prendersi cura di lui amorevolmente come ha sempre desiderato. Erano tutti in una bella situazione e i genitori di Mèv erano fieri di lei, di aver cresciuto una figlia così gentile, infatti glielo ricordavano spesso e l'autostima di Mèv era molto alta, e voleva che Tüş stesse il meglio possibile, perché nessuno si deve sentire triste.
"Dormiamo insieme?", chiese Mèv, sorridendo gioiosa.
"No, il tuo letto è troppo piccolo e finiremo per farci le coccole", disse Tüş, disgustato.
"Capisco, e allora dove dormirai?", chiese Mèv.
"Dormirò per terra", disse Tüş, fiero di sé.
"Va bene", disse Mèv sorridendo amichevolmente.
Entrambi si alzarono e Tüş andò a bere un po' d'acqua. Era una giornata fantastica, sarà tutto merito del calendario? Mèv fu davvero felice che Tüş starà a dormire a casa sua, così potranno chiacchierare fino ad addormentarsi. La vita era molto bella per loro due, certo, ma a Tüş sarebbe piaciuto sicuramente se la morte, la fame e le malattie non esistessero.
Ma purtroppo esistono.
Questi pensieri stavano affliggendo la mente di Tüş, ma guardare Mèv negli occhi faceva sparire ogni dolore e lo faceva stare bene. Tutto sembrava più bello quando stava con Mèv, tanto che voleva vivere con lei per sempre, anche se questo significava avere figli da lei. Non poteva di certo stare ancora a casa propria, nell'oscurità emotiva più totale.
Si fece sera, e Tüş si sdraio per terra, nella camera da letto di Mèv.
"Ti do una coperta", disse Mèv, coprendo Tüş.
"Grazie", disse Tüş, felice.
Mèv sorrise.
"Buonanotte", disse Tüş, stanco.
La notte fu molto tranquilla e la mattina Tüş si sentì rinfrescato. Mèv stava ancora dormendo e Tüş si stava annoiando senza fare niente, quindi uscì fuori. Faceva abbastanza freddo, come sempre in questo periodo, ma a Tüş piaceva, la mancanza di un calore confortante gli faceva pensare che in fondo essere tristi è normale e fa parte della vita, e questo lo fece stare meglio. Camminò un po' fuori ma si stava annoiando: non voleva stare da solo ma a quest'ora della mattina presto non c'era nessuno con cui parlare in giro per le strade. Con questa solitudine egli iniziò a pensare. Sarà davvero felice vivendo con Mèv? Sperava di sì: sperava che tutto andrà per il meglio, non voleva più passare il suo tempo da solo. Guardò il cielo: era grigio scuro e buio a quest'ora, ma più tardi diventerà grigio chiaro.
"Ieri non ha piovuto", pensò Tüş, sperando che oggi pioverà.
Continuò a camminare per le strade da solo, mentre Mèv stava iniziando a svegliarsi.
Tüş si divertì a far uscire le nuvolette di fiato dalla sua bocca e sorrise. Le strade erano estremamente silenziose e vuote. Mentre camminava, rifletteva sulla vita. Si chiedeva se un giorno molto lontano l'umanità sarà felice, ma poi si ricordò che la morte non potrà mai essere sconfitta, quindi vivere non ha senso. Si chiese quale fosse il suo obiettivo nella vita: è davvero essere felici come dice Mèv? O la vita non ha senso? Oppure ancora c'è qualcos'altro che noi non sappiamo?
Tüş prese un sasso da terra e lo osservò.
"Che scopo ha questo sasso?", si chiese, confuso, lanciandolo svogliatamente a terra. Continuò a camminare e a pensare, riflettendo sul senso della vita. Ne aveva già parlato con Mèv in passato, ma non aveva ottenuto le risposte che voleva: Mèv era troppo allegra e ottimista per Tüş, o almeno per quella domanda. Voleva fare questa domanda a un colto, ma aveva paura della risposta. E se davvero la vita non ha senso? Tüş non può permettersi di ricevere una simile afflizione, per cui, finché rimane una speculazione, tutto va bene, e stare con Mèv sicuramente lo renderà più felice, perché voleva sentirsi dire cose carine.
Ora che si sta facendo più tardi, Tüş iniziò a camminare verso la casa di Mèv, felice che una nuova giornata sta per iniziare, e soprattutto, una nuova giornata con la migliore amica che si possa desiderare.
Tüş bussò e Mèv aprì la porta, sorridendo.
"Bentornato Tüş, vuoi entrare a casa?", chiese Mèv.
"No, preferisco che io e te stiamo fuori e chiacchieriamo, come ieri", disse Tüš, serio.
Mèv accettò e un'altra bellissima giornata li attendeva.
Stamattina, Opgüf segnò la temperatura sul calendario.
"-4", scrisse Opgüf sul suo calendario, soddisfatta.
Pensava al fatto che tra un anno intraprenderà un lungo viaggio, e da oggi a mezzogiorno si dovrà allenare a usare la spada per difendersi dalle bestie feroci che popolano la natura del Tidei. Ad allenare Opgüf ci penserà niente meno che Řivma in persona: si è deciso di stabilirsi per un anno a Eřliq per sperimentare la vita sedentaria e per diffondere la conoscenza meteo nel mondo. Purtroppo le temperature sono soggettive e non possono essere misurate oggettivamente, ma si cercherà di essere più oggettivi possibile, e questo si potrà fare mettendo un bicchiere d'acqua all'aperto: se si ghiaccia, significa che fa freddo, più in fretta si ghiaccia, più fa freddo. Questo è quello che spiegò Řivma a Opgüf, e lei ne rimase stupita, ma anche imbarazzata dal fatto che non ci aveva mai pensato. In effetti, come spiegò Řivma, a Eřliq raramente fa abbastanza freddo per far ghiacciare un bicchiere d'acqua, ma in certi altri villaggi il bicchiere d'acqua può rimanere ghiacciato per tutto l'inverno, e in quelli più estremi e meno popolati addirittura per tutto l'anno.
"Tra un anno partiremo, devi essere pronta a tutto", disse Řivma.
"Sarò pronta, vedrai", disse Opgüf, seria.
Řivma annuì e uscirono fuori dal villaggio per imparare a sopravvivere.
"Non è necessario che tu cacci: quello lo faremo noi. È importante, però, che tu ti sappia difendere dagli animali feroci. Non è molto comune vederne uno, ma non devi mai abbassare la guardia, appena vedi che ha intenzione di ucciderti, devi subito attaccare! Ora cammineremo per la natura: è improbabile che ne incontreremo uno, ma se dovesse succedere ti proteggerò io", disse Řivma.
Opgüf fu felicissima del suo "ti proteggerò io" e sorrise serenamente, non pensando al pericolo.
Erano le 55, e secondo Opgüf la temperatura era "-2", e lo segnerà sul calendario appena tornerà a casa.
"Secondo me la temperatura adesso è -2", disse Opgüf.
"È un gesto nobile e anche molto interessante, sono curioso di conoscere come saranno le altre stagioni", disse Řivma.
Opgüf si sentì molto bene.
"In estate la temperatura è 5", disse Opgüf, fiera della propria scala.
Řivma sorrise.
"Mi piacerebbe se tu mi portassi in un posto che in inverno è freddo e soleggiato e che d'estate è uguale a qua", disse Opgüf.
"Posso farlo. Quanto freddo vuoi che ci sia?", chiese Řivma.
"Abbastanza da esserci neve e ghiaccio per tutto l'inverno", disse Opgüf.
"Capisco, avrai ciò che vorrai", disse Řivma.
"Grazie", disse Opgüf, arrossendo un po'.
Il cielo grigio e la piattezza della natura attorno al villaggio di Eřliq piacevano a Opgüf, ma avrebbe preferito un clima diverso.
"Qui le persone fanno in fretta a pensare che faccia freddo. Nelle mattine più fredde io esco fuori e sono felice, mentre tutti gli altri rimangono a casa davanti al camino", disse Opgüf, ridendo. "Vorrei che facesse sempre così freddo, e anche più freddo di così"
Řivma sorrise senza dire nulla.
Opgüf iniziava ad avere paura degli animali feroci ma voleva mostrarsi coraggiosa, perciò non disse nulla a proposito. Le cose stavano andando in modo abbastanza tranquillo, e nessun animale si era ancora fatto vedere anche se il rischio è sempre presente. Opgüf non era abbastanza riflessiva da pensare se uccidere gli animali fosse giusto o sbagliato: semplicemente faceva parte della vita quotidiana. Tüş, invece, era estremamente riflessivo, e aveva già parlato con Mèv di questo fatto, anche se non poteva farci niente: era obbligato a mangiare la carne visto che non c'era nient'altro da mangiare.
"Qual è il villaggio più vicino a Eřliq?", chiese Opgüf.
"Si chiama Ğüŝèk, si trova a qualche decina di migliaia di distanze da qui, verso Sud-Est, sarà la nostra prima tappa appena inizierà l'anno 2. Intanto voglio prepararti a camminare a lungo e a difenderti dagli attacchi delle bestie", disse Řivma.
"In quanto raggiungeremo Ğüŝèk?", chiese Opgüf.
"Circa 35 ore*", disse Řivma.
(35 ore tideiesi sono circa 8 ore e mezza terrestri)
"Ci andremo domani", disse Opgüf, seria e sicura di sé.
Řivma sorrise per il coraggio dimostrato da Opgüf.
Opgüf voleva tanto visitare un altro villaggio, ma uscire nella natura senza un cacciatore è un rischio che nessuno poteva prendersi. Ora che Opgüf è al sicuro, può visitare Ğüŝèk senza nessun problema. E nel caso spunti qualche animale pericoloso, ella può allenarsi a combattere.
Opgüf e Řivma rimasero in silenzio a guardare la natura non molto rigogliosa del bioma sub-artico della zona.
"Stare qui mi fa sentire in armonia con il mondo", disse Opgüf.
Řivma sorrise, dicendo:"Noi umani abbiamo capacità straordinarie, ma fisicamente siamo come gli altri animali, i nomadi cacciatori lo sanno bene e possono sopravvivere quasi dappertutto, ma sono esposti agli stessi rischi degli altri animali. Chi vive nei villaggi o nelle città è più al sicuro"
"È vero, gli animali feroci per qualche motivo non si avvicinano ai villaggi", disse Opgüf.
Tutto era tranquillo per il momento, e Opgüf e Řivma decisero di stare nella natura ancora per qualche ora prima di tornare nel villaggio.
Opgüf pensava a come si sarebbe divertita domani nel villaggio di Ğüŝèk: avrebbe conosciuto un posto nuovo per la prima volta ed era sicura che si sarebbe emozionata. Ella voleva andare il più lontano possibile, ma non sapeva quanto ci sarebbe voluto.
"Řivma... quanto è grande il mondo?", chiese Opgüf.
"I colti stimano che la distanza dal Polo Nord al Polo Sud sia 10 milioni. Da qui all'equatore, non lo so, forse 2 milioni e mezzo... ad ogni modo, camminando tutto il giorno, ci metteremmo circa una stagione, cioé 90 giorni, per arrivare all'equatore, sai cosa succede dopo l'equatore?", chiese Řivma.
"No", disse Opgüf, curiosa.
"Le stagioni si invertono, qui ora è l'inizio della primavera, ma dopo l'equatore è l'inizio dell'autunno. Quando qui è estate, la è inverno, quando qui è inverno, la è estate", disse Řivma.
"Bello! Che clima c'è dopo l'equatore?", chiese Opgüf, entusiasta.
"Ci sono tutti i tipi di clima, come qui", disse Řivma.
"Quindi... c'è anche un villaggio con lo stesso clima di Eřliq ma al contrario?", chiese Opgüf.
"Naturalmente, e c'è anche il clima freddo e soleggiato che tu mi hai chiesto", disse Řivma, sorridendo.
Intanto, Bifkàļ voleva chiacchierare con qualcuno a proposito del calendario, perciò ella chiese a molte persone se facessero parte dei colti, e dopo un po' di ricerca finalmente trovò Üŝèbr, uno tra i più colti studenti di Eřliq.
"Sei d'accordo con me sul fatto che il calendario non ci aiuterà?", chiese Bifkàļ.
"Per adesso possiamo solo speculare, quello che è certo è che ora potremo sapere precisamente la durata media della vita. Ho il forte presentimento che con il progresso della medicina e della tecnologia, essa aumenterà sempre più, ma non sono sicuro che riusciremo a eliminare la morte, e sicuramente non vedremo mai questo progresso", disse Üŝèbr, con un misto tra ottimismo e pessismo, ma con un tono di voce serio e malinconico. In sintesi, l'umanità migliorerà la propria condizione, ma purtroppo questa generazione non vedrà mai i miglioramenti.
"Capisco, grazie", disse Bifkàļ, andando via.
"Davvero c'è una possibilità che l'umanità sconfiggerà la morte?", pensò, ricordandosi di ciò che disse Üŝèbr, "Quindi, ci saranno cibo ed erbe in abbondanza, giusto? Come è possibile?"
Bifkàļ era confusa: si chiedeva come fosse possibile sconfiggere la morte. Pensò che prima di sconfiggere la morte, bisognasse sconfiggere le malattie, ma capì che per ora la tecnologia non è abbastanza sviluppata da permettere ciò, e che lei morirà senza poter vedere l'ascesa dell'umanità.
Tornò a casa dei suoi genitori e scrisse i suoi pensieri sul calendario. Voleva tenere un ricordo di sé stessa per gli anni futuri, e forse anche per le generazioni future. Si domandava quanti anni ci sarebbero voluti prima che l'umanità sarà davvero felice. Per ora, anche se tutti cercano di rendersi felici tra di loro, la fame, la morte, le malattie e i disastri naturali piagano il Tidei, rendendo gli abitanti non totalmente felici.
Bifkàļ si stava annoiando, quindi decise di uscire e di rimanere da sola a pensare al calendario: un'invenzione che la lasciava dubbiosa della sua utilità, visto che la carta per scrivere già esisteva, ma stava pensando anche al fatto che ora si potrà collocare ogni fatto in una linea temporale e questo potrebbe essere utile, forse anche a sconfiggere la morte? Pensava che tenendo traccia della morte di ogni abitante, si potrebbe trovare uno schema che salverà la vita di tutti i futuri umani. "O forse sono troppo ottimista", pensò, ma il dubbio rimase. Il calendario sarà utile oppure no? Solo il tempo potrà dirlo, ma intanto ella lo stava usando per scrivere i suoi pensieri e per capire quando li ha pensati esattamente. Ora si potrà conoscere l'età delle persone senza nessun problema, mentre prima bisognava contare gli anni e, o per dimenticanza, o per mancanza di voglia, non si conosceva bene l'età precisa delle persone. Le persone nate dopo l'invenzione del calendario, tuttavia, avranno un'età ben definita.
"Mamma, ho fame", disse Bifkàļ, chiedendo un po' di pesce.
"Scusa, figlia, non abbiamo molto cibo a disposizione, e tu hai già mangiato questa mattina", disse sua madre.
"Odio questo mondo! Perché dobbiamo soffrire?", urlò Bifkàļ, disperata.
"Non lo so, mi dispiace tanto per questo... non so cosa dire, mi dispiace", disse sua madre, cercando inutilmente di consolarla, ma la fame rimaneva.
"Aspetterò a domani, bevo un po'", disse Bifkàļ, sconsolata, bevendo l'acqua contenuta in un bicchiere, ma con lo stomaco che brontolava dalla fame.
Bifkàļ sospirò e scrisse sul calendario che sperava che l'umanità un giorno troverà un cibo segreto che permetterà loro di stare tutta la vita senza mangiare, e probabilmente in qualche oscura parte del mondo esso esiste, o almeno questo è quello che Bifkàļ pensava, ma non ne era certa e forse un cibo del genere neanche esisteva, e cadde nuovamente nel pessimismo, pensando che il calendario non aiuterà minimamente l'umanità nello sconfiggere la fame, le malattie, né tantomeno la morte.
Bifkàļ faceva parte del gruppo dei colti, ed era una delle più pessimiste. La maggior parte dei colti pensava che la scienza avrebbe aiutato l'umanità, i più ottimisti pensavano che la morte presto sarà solo un lontano ricordo, ma Bifkàļ era tutt'altro che ottimista. Nonostante questo, usava il calendario per segnare ciò che le succedeva, in una vita noiosa, seppur tutti cercavano di renderla felice, ma Bifkàļ era a conosceva della bruttezza della vita, e non poteva essere felice. Anche Tüş sta intraprendendo lo stesso percorso.
Ella uscì nuovamente fuori casa e passeggiò per le strade. Le persone sembravano felici, ma ella aveva molta fame e voleva mangiare. Si sedette con un'espressione triste in faccia e un ragazzo si avvicinò a lei, chiedendole cosa non andasse. "Niente", rispose lei, ed ella se ne andò. Non voleva di certo mangiare le razioni degli altri, sarebbe stato un comportamento egoista da parte sua.
Bifkàļ desiderava tanto un mondo migliore, con abbondanza di cibo e senza malattie, ma l'orrore del mondo la rendeva pessimista: l'unica speranza (fioca) l'aveva riposta nel calendario, ma sapeva bene che sarebbe stato così lento che ella sarebbe morta prima di vedere un cambiamento notevole. Nessuno poteva fare niente per alleviare la sofferenza dell'umanità, erano tutti condannati a un tragico destino da cui era impossibile fuggire. Era possibile provare sazietà per alcune persone, ma si trattava di un evento raro, impossibile che succedesse tutti i giorni.
Ella voleva parlare con un altro colto, ma sapeva già le rispose che avrebbe dato essendo anch'ella una colta, perciò decise di rassegnarsi e sedersi su una roccia a soffrire. Pensò non solo alla fame, ma anche alle malattie, incurabili, che fortunatamente non la colpirono per ora. Un'ondata di tristezza permeava l'animo di Bifkàļ, e questo era evidente nella sua espressione. Solo la risoluzione immediata dei problemi dell'umanità poteva farla stare meglio, ma purtroppo ciò era impossibile.
"Qualcosa non va?", chiese un giovane ragazzo, preoccupato.
"L'umanità soffre", tentò di spiegare Bifkàļ.
"Lo so, come ti chiami?" - "Mi chiamo Bifkàļ" - "Io mi chiamo Güşqi. Senti, Bifkàļ, l'umanità soffre, è proprio per questo che noi umani dobbiamo tutti comfortarci a vicenda"
Bifkàļ sorrise.
"Come stai?", chiese Güşqi.
"Male. Ho fame e sono preoccupata per i malati", disse Bifkàļ.
"Mi dispiace tantissimo, per i malati, puoi cercare di farli stare meglio emotivamente come facciamo tutti, mentre per la fame, dirò a tutti i miei amici di darti un pezzo della loro razione. Se vieni a casa mia ti darò un po' di carne"
Bifkàļ andò a casa di Güşqi e tutti i suoi amici le darono una parte della loro razione. Bifkàļ mangiò fino a saziarsi e ringraziò tutti sorridendo.
"Grazie a tutti, davvero, ma sono tutt'ora preoccupata per i malati, come possiamo dare loro gioia se non li possiamo neanche abbraccciare?", disse lei, quasi piangendo.
"Non tutte le malattie vengono contagiate tramite contatto fisico", ricordò Güşqi.
"Quasi tutte", disse Bifkàļ, triste per coloro che non possono essere abbracciati, destinati a soffrire ancora di più.
"Il mondo è crudele", disse lei, un po' arrabbiata contro questo mondo che ci tortura in continuazione.
Gli altri continuarono a cercare di consolarla, fino a che si sentì un po' meglio, ringraziò e andò via con lo stomaco pieno, sazia.
"Il mondo è terribile, ma almeno gli umani sono altruisti", pensò Bifkàļ, triste ma sollevata.
Camminò per le strade, con la consapevolezza che gli umani la aiuteranno nel momento in cui ella avrà bisogno. Guardò il cielo, grigio come sempre, e sorrise, poi continuò a camminare verso casa sua.
Entrò a casa e si piazzò davanti al camino, il cui calore la comfortava. Guardò il fuoco e fu come ipnotizzata da esso. Pensò che i malati, nonostante non potessero essere abbracciati, potessero comunque stare davanti al camino e stare bene, anche se ovviamente niente può sostituire il calore umano. Voleva supportare i malati ma di certo non poteva mettersi in astinenza di abbracci.
"Mamma, abbracciami", disse Bifkàļ.
Sua mamma la abbracciò e Bifkàļ fu felice ma avvertì un senso di colpa.
"I malati non possono essere abbracciati", disse una voce dentro di lei, facendola sentire male. "E io mi sto approfittando del fatto che non sono malata per avere tutti gli abbracci che voglio", continuò quella voce.
Bifkàļ terminò l'abbraccio e continuò a stare davanti al camino, non sapendo più cosa fare. Doveva arrendersi alla sofferenza e non avere speranze, ma si chiese come facessero gli altri a sopportare un tale tormento.
"Come fanno gli altri a essere così ottimisti? E soprattutto come fanno a credere che il calendario li aiuterà?", si chiese lei, confusa.
Pensò che gli umani non avessero speranza contro la natura: un essere crudele che piaga la vita di tutti gli abitanti del mondo facendoli patire il peggio che esiste e ponendo fine alle loro inutili vite: la felicità è solo un miraggio, una parola che descrive un concetto temporaneo e raro, la cui regolarità è solo ipotetica, dal momento che nel mondo si soffre così tanto e che le malattie e la morte sono irrimediabili e che la fame non è facilmente risolvibile.
Si alzò e scrisse sul calendario gli avvenimenti di oggi. Scrisse le sue preoccupazioni e del fatto che delle persone tentarono in tutti i modi di consolarla e che fu grata che gli umani fossero gentili e altruisti gli uni con gli altri e che non fossero bestie spietate che si uccidono tra loro senza avere alcun rimorso. Inizialmente ella si preoccupò per gli animali, ma poi capì che un animale non avrebbe mai avuto pietà di un essere umano e che lo avrebbe attaccato alla prima occasione senza esitare, quindi pensò che gli animali meritavano di essere uccisi, anche perché non c'era nessun'altra scelta in fatto di cibo: o qualcuno uccide gli animali, o gli umani muoiono di fame.
Mèv e Tüş, come al solito, camminarono per le strade e chiacchierarono, ma i discorsi di Tüş diventavano sempre più oscuri ogni giorno che passava.
"Secondo te Dio ama farci soffire?", chiese Tüş, mettendo Mèv leggermente a disagio.
"Non lo so, Tüş, ma cerchiamo di renderci tutti felici", disse Mèv, sorridendo.
Tüş sentì un brivido caldo, apprezzava molto la gentilezza di Mèv.
Stettero in silenzio e ammirarono il cielo grigio sopra di loro. Tüş era arrabbiato contro Dio per tutto il male che ha provocato contro gli umani, ma decise comunque di fare la sua parte e di alleviare il dolore dei suoi compagni di sventura, sperando che un giorno il male cesserà di esistere.
Si sedettero su delle rocce e rimasero zitti. Tüş guardava il villaggio. Le persone sembravano felici nonostante la morte, la fame e le malattie, e si chiedeva come facevano a dimostrare così tanta gioia. Non riusciva a capire dove stesse la fonte di tale allegria in un mondo così crudele e così ostile. Tüş si fece prendere dal panico e sospirò, con un'espressione di rabbia sul suo volto. Voleva un mondo perfetto, dove nessuno muore, dove nessuno si ammala, dove non c'è bisogno di mangiare e dove tutti sono felici.
"Senti, Mèv, secondo te perché le persone qui sono così felici? Il mondo ci è ostile", disse Tüş.
"Hai ragione a dire che il mondo sia ostile, tuttavia, la nostra gioia deriva dal fatto che siamo gentili tra di noi. C'è una tale armonia tra gli abitanti del Tidei che anche se sei triste, basta che lo dici e chiunque cercherà di farti sentire meglio", disse Mèv, sorridendo fiera.
Tüş capì la situazione, ma non poteva comunque esprimere tutti i suoi sentimenti a Mèv. Alcune cose vanno ovviamente tenute segrete. Tüş guardò le pietre per terra e le fissò.
"Sei triste?", chiese Mèv, preoccupata.
"No, sto solo fissando queste pietre", rispose Tüş.
Anche Mèv iniziò a fissare quelle pietre e sorrise. Ella pensava che la gentilezza degli umani fosse superiore alla rabbia di Dio e che tutti insieme ce l'avrebbero fatta. Mèv decise che non si sarebbe fatta sottomettere da Dio, e che anche se eventualmente morirà, avrà vissuto una vita degna di gloria. Quello che ella voleva più di ogni altra cosa era rendere felici tutti gli abitanti del villaggio, anche se a quello ci pensavano già tutti quanti. Con tutta questa positività, Mèv si chiedeva perché Tüş fosse così negativo.
"Sai, forse sei un po' troppo pessimista", disse Mèv.
"Qualcuno ha detto pessimista?", disse Bifkàļ, soprendendoli.
"E tu chi sei?", disse Tüş.
"Il mio nome è Bifkàļ, conoscervi mi è indifferente", disse, seria.
(Questa ragazza ha carisma, mi piace), pensò Tüş.
"Ciao Bifkàļ", disse Mèv, sorridendo, come se fosse una sua cara amica.
Bifkàļ sorrise leggermente, "Il tuo amico ha ragione a essere pessimista, il mondo è orribile, ho sofferto personalmente la fame ieri mattina, e sappiate che gli ammalati non possono ricevere abbracci", disse.
Mèv fu scioccata. "D-davvero non possono essere abbracciati?", disse, sconvolta e vicina al pianto.
"Esattamente", disse Bifkàļ.
Mèv scoppiò in lacrime, mentre a Tüş non interessava. "A me non piacciono gli abbracci", disse egli.
Bifkàļ fu sopresa. "Eh? Davvero?", disse.
Tüş annuì.
"Oh... ma a tutti gli altri piacciono... quindi pensa a quanto soffrono senza di essi!", disse Bifkàļ.
"Dovrebbero diventare più forti, come me, così saranno in grado di resistere", rimproverò Tüş.
"A nessuno piace soffrire, perciò è chiaro che cercano di stare bene. A nessuno interessa resistere, starebbero male comunque. Si vede che stai male, ragazzo, si vede dal tuo sorriso, se così si può chiamare", disse Bifkàļ.
"Ti sbagli di grosso, io sto benissimo, sono solo un po' stanco", disse Tüş.
"Posso cercare di farti stare meglio, se vuoi, lo ho imparato a scuola", disse Bifkàļ.
Tüş fu sbalordito.
"Vai a scuola?", disse, sorpreso.
"Sì, e mi aiuta molto", disse Bifkàļ, sorridendo, "Uno dei modi più veloci ed efficaci per stare meglio è abbracciarsi, ma a te non piace, quindi bisognerà che la tua amica ti faccia le carezze"
"No no no, non hai capito, a me non piace essere toccato!", disse Tüş, infastidito.
"D'accordo, allora stiamo qui seduti e rilassiamoci", disse Bifkàļ, contenta di mettere in pratica ciò che ha imparato a scuola e sperando che quel ragazzo si senta meglio.
"Io questa sensazione la chiamo noia", disse Tüş.
(È più pessimista di me, almeno io sono felice quando c'è ragione di esserlo), pensò Bifkàļ.
"Allora... presto sarai felice, ne sono sicura", disse Bifkàļ, sorridendo e cercando di essere ottimista.
"Certo", disse Tüş.
Bifkàļ ebbe un'espressione preoccupata: ella doveva cercare di rendere Tüş felice, era la sua missione ormai.
"Perché sei triste?", chiese Bifkàļ.
"Non sono triste!", disse Tüş, imbronciato.
"Non ne vuoi parlare, d'accordo, posso fare qualcosa per renderti felice?", disse Bifkàļ, sorridendo.
"Sono già felice", disse Tüş, serio. Sapeva bene che i ricordi del suo passato lo avrebbero perseguitato per tutta la durata della sua miserabile vita.
"D'accordo, forse ci vorrà un po' di tempo", disse Bifkàļ, sorridendo.
"Sono già felice", ripetè Tüş.
Bifkàļ capì l'urgenza della situazione ma non si scoraggiò e cercò di portare a termine il suo compito. Ormai tutto ciò che ella voleva era che quel ragazzo (Tüş) fosse felice.
"Come vi chiamate?", chiese Bifkàļ.
"Tüş", disse egli, serio.
"Mèv", disse ella, sorridendo ma comunque preoccupata per Tüş.
"Quindi, Tüş, stai bene, e ti credo, stai tranquillo. Vi va di fare un gioco?", chiese Bifkàļ.
"Io non conosco nessun gioco interessante, scusa", disse Mèv, imbarazzata.
"Non importa, stiamo qui seduti e sorridiamo", disse Bifkàļ.
"Una vera noia", disse Tüş.
"Tu cosa vuoi fare, Tüş?", chiese Bifkàļ.
"È la vita stessa a essere noiosa, pensaci bene, Bifkàļ! Ogni giorno è uguale, ci svegliamo con un cielo grigio e tetro sopra di noi, mangiamo, chiacchieriamo e dormiamo. E ogni giorno si ripete", disse Tüş, disperato.
A Bifkàļ venne un'idea per far star bene Tüş.
"Hai menzionato chiacchierare, ci sono una vastità di argomenti impressionante di cui parlare", disse Bifkàļ, fiduciosa.
"E va bene, proviamo", disse Tüş, serio.
"Di cosa vuoi parlare?", chiese Bifkàļ.
"Scegli tu", disse Tüş, senza speranze.
"Io mi sto sentendo esclusa", disse Mèv.
"Scusa Mèv, dai, scegli tu l'argomento!", disse Bifkàļ, sorridendo allegramente.
"Parliamo di come l'affetto ci fa sentire meglio!", disse Mèv, felice.
"Giusto! A te piace l'affetto, Tüş?", chiese Bifkàļ.
Queste parole lo colpirono dritto nell'animo, così egli disse:"Scusate, ho da fare", e se ne andò, anche se in verità l'unica cosa che egli aveva da fare era piangere a dirotto.
"Sembra che siamo rimasti solo io e te, Tüş ha da fare, sembra molto impegnato", disse Mèv.
"Andiamo ad aiutarlo!", disse Bifkàļ, sorridendo allegramente e felice di poter dare una mano.
"Ottima idea!", disse Mèv, andando nella direzione di Tüş insieme a Bifkàļ.
"Aspetta, Tüş, ti aiutiamo con i tuoi impegni!", disse Mèv, sentendosi altruista.
"Ho bisogno di stare un po' solo", ammise Tüş.
"D'accordo, quando hai bisogno di noi, chiamaci", disse Mèv, sorridendo gentilmente.
Mèv ne approfittò per chiacchierare e fare amicizia con Bifkàļ.
"Allora, Bifkàļ, ti sta simpatico Tüş, vero?", disse Mèv.
"Sì, ma non ti sembra che egli sia molto triste anche se dice sempre di stare bene?", disse Bifkàļ, confusa.
"Anche io lo ho notato, ma non so che problemi ha", disse Mèv, triste.
"Non è nostro compito scoprirlo, anch'egli può avere segreti, non possiamo invaderlo, ma dobbiamo aiutarlo a stare meglio", disse Bifkàļ.
"Hai ragione, Bifkàļ, io ci provo tutti i giorni: mi dice che con me sta bene e io voglio credergli!", disse Mèv.
Bifkàļ sospirò. "Sai, forse è solo una mia impressione, forse sta davvero bene, dovremmo smettere di preoccuparci e trattarlo come una persona felice", disse ella.
Mèv sorrise e annuì. "Faremo così"
Mèv e Bifkàļ continuarono a chiacchierare e furono felici.
"Sono contenta di averti conosciuta", disse Mèv, gioiosa.
"Anche io", disse Bifkàļ, sorridendo.
"Ci vedremo anche domani?", chiese Mèv, speranzosa.
"Certo!", disse Bifkàļ.
Elle stettero sedute e guardarono il cielo grigio e luminoso. Stettero fuori fino a quando iniziò a fare buio.
"Tüş non è ancora tornato", disse Bifkàļ, preoccupata.
"Andiamo a cercarlo", propose Mèv.
Dopo circa un'ora (14 minuti terrestri) di ricerca, Mèv e Bifkàļ trovarono Tüş seduto per terra vicino a una roccia. Era evidente che stava piangendo, ma Mèv e Bifkàļ decisero di non imbarazzarlo: la situazione era diventata molto delicata.
"E voi che ci fate qui?", disse Tüş, con una voce tristissima.
"Siamo venute per vederti, sei stato molto tempo da solo, quindi volevamo vederti perché ci fa piacere vederti", disse Mèv, cercando di fare un sorriso confortante.
Tüş fu molto imbarazzato ad essere visto in quelle condizioni e sperava che loro due non si fossero accorte che egli stava piangendo.
"Hai bisogno di acqua?", chiese Mèv, non dicendo direttamente che si è accorta del suo pianto.
"Sì, grazie", disse Tüş, iniziando ad andare verso casa di Mèv.
"Posso venire anche io?", chiese Bifkàļ.
"Certo", disse Mèv, convinta e felice.
Bifkàļ, Mev e Tüş andarono tutti a casa di Mèv e quest'ultima diede a Tüş un po' d'acqua.
Bifkàļ stette davanti al camino e si rilassò, pensando a come stava a casa sua. Ella capì che abbracciarsi non fosse una cosa inerentemente sbagliata, solo perché gli ammalati non potevano farlo. Capì che abbracciarsi fosse bello e bisogna farlo, altrimenti l'affetto in Tidei scomparirebbe.
Tüş era triste ma non voleva ammetterlo, anche se con l'aiuto di Mèv e Bifkàļ egli iniziava a sentirsi meglio, ma comunque gli serviva molto tempo, e tenere la sua tristezza segreta non aiutava di certo. Mèv e Bifkàļ lo trattarono come una persona già felice e Tüş non si sentiva compreso, ma egli decise comunque di soffrire la mancanza di consolazioni, perché si riteneva resistente e non voleva farsi vedere debole e vulnerabile, anche se sapeva bene che almeno Mèv non ne avrebbe approfittato.