Fonezia

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Ežuk (50 gradi Nord). Anno 1, giorno 1 (equinozio di primavera)

"Hanno inventato il calendario!", dissero ad alta voce dei nomadi messaggeri che vagavano per le strade di Ežuk.

"Oggi è l'anno 1, giorno 1!", dissero, consegnando i calendari ai passanti.

"Da oggi potrete sapere esattamente quando è successa una cosa!", dissero.

Gli abitanti non sembrarono molto convinti della sua utilità.

"Hai sentito, Kěm?", disse Řüğta, felice.
"Sì, sì, ma ora ho solo voglia di camminare per le strade con te", rispose Kěm.
"Ne sono onorata", disse Řüğta, sorridendo.

Camminarono per le strade dove c'erano tantissime altre persone e dopo un po' si sedettero su una pietra piatta. Stettero in silenzio e pensarono. Il cielo era coperto da delle nuvole grigie, come piaceva a Řüğta. Il grigiore le dava ispirazione per discutere a proposito del mondo. Dopo vari minuti di silenzio, Řüğta iniziò a parlare.

"Sai... mi piace stare qui", disse lei.
"Anche a me", rispose Kěm.
"Ho notato che quando sei molto amico con un'altra persona, ti diverti anche se non fai niente" - "È vero" - "A me a volte capita che quando ho una lista di cose da fare, guardo la lista ma alla fine non faccio nulla, ad esempio sono andata in una casa dove facevano, non so, trattamenti rilassanti o qualcosa del genere, e c'era una lista di cose che facevano. Io ho letto la lista ma alla fine non ho scelto niente" - "Hmm" - "Ho la sensazione che a te capiti spesso, tu sei un tipo tranquillo, non mi sembri uno che si metterebbe a ballare per le strade" - "Non mi interessa farlo" - "A me piace molto chiacchierare, ho tante idee sul mondo che vorrei condividere con tutti, e infatti sto scrivendo un libro che parla dei miei pensieri, anche se il mondo è già fantastico!" - "Non sempre" - "Hai ragione, ma gli umani cercano di fare il possibile per rendere la vita meravigliosa nonostante le avversità naturali" - "Non è vero" - "Perché dici così?" - "Guarda in faccia la realtà, come spieghi la morte e le malattie? Nessun essere umano può andare contro ciò che la malvagia natura vuole" - "Però... vivere è bello, non credi?" - "È normale. Non capisco cosa trovi di così bello nella vita" - "Cosa vuoi?" - "Sinceramente, niente" - "Vedi? È per questo che non ami la vita, non hai desideri" - "Non mi interessa averli, e nemmeno esaudirli" - "Io ad esempio ora voglio correre insieme a te per le strade" - "Non mi va di farlo" - "Non ti va di fare niente..." - "Esatto".

Ci fu nuovamente silenzio. Řüğta era dispiaciuta per ciò che era successo. Kěm non vuole fare niente, e Řüğta si sta annoiando.

"Ti va di camminare?", chiese lei.
"Sì", rispose Kěm.

Continuarono a camminare per le strade insieme e si sentivano abbastanza tranquilli. Anche senza fare niente, non erano consumati dalla noia come ci si aspetterebbe. Tutto era tranquillo, ed era una giornata come le altre apparte per il fatto che hanno inventato il calendario.

Intanto, le persone più colte di Ežuk erano interessate dalla nuova invenzione dei più grandi scienziati di questo tempo. Il calendario.

"Da oggi potremo sapere quanti giorni fa esattamente è stata una giornata soleggiata! Potremo sapere tutto e vinceremo gloriosi!", disse Iŋaŝæ. "Che il calendario ci proteggerà dalla morte?", speculò Ubitëť, ottimista.

Si radunarono tutti e parlarono di questo grande giorno che (secondo loro) verrà ricordato per sempre nella storia dell'umanità. Secondo loro, il mondo cambierà per sempre da oggi.

Řüğta stava con Kěm, ella si divertiva a stare con lui, anche se non facevano niente in particolare e si limitavano (ogni tanto) a chiacchierare. Camminavano per le strade e guardavano il cielo grigio. Videro una ragazza e un ragazzo correre tenendosi per mano. Sembravano felici.

"Lo facciamo anche noi?", chiese Řüğta.
"Eh?", rispose Kěm, leggermente imbarazzato.
"Voglio dire, correre tenendoci per mano" - "Non mi va" - "Tenerci per mano?" - "Hmm... è accettabile"

Řüğta e Kěm si tennero per mano e continuarono a camminare. Řüğta sospettava che Kěm odiasse correre o muoversi troppo. Ciò che ea voleva era che lui fosse felice.

"Non trovi che la vita sia così noiosa?", chiese Kěm.
"Perché dici questo? La vita è divertente secondo me" - "Non c'è niente da fare" - "Come no? Possiamo chiacchierare, camminare, correre, abbracciarci, ballare, cantare, e tante altre cose. Le scelte sono illimitate" - "Non mi convinci" - "Cosa vorresti in più dalla vita?" - "Non c'è niente che vorrei" - "Sicuro?" - "Una cosa ci sarebbe, ma non succederà mai. Mi piacerebbe volare come fanno certi animali" - "Purtroppo nessuno potrà esaudire il tuo desiderio, quello che chiedi è impossibile" - "Lo so bene" - "Qualcos'altro?" - "No".

Kěm non trovava niente di divertente da fare, per lui la vita è noiosa. Řüğta cercava in tutti i modi di farlo divertire, ma non ci riusciva. Kěm era un ragazzo molto tranquillo, a lui non interessava fare feste. Egli viveva ogni giorno senza desideri, accettando le cose come andavano. Considerava sé stesso "puro". Non capiva perché nel mondo le persone cercavano di soddisfare i propri desideri, per lui i desideri erano solo causa di sofferenza, un dolore emozionale collettivo che si fermerà solo nel momento in cui tutti smetteranno di desiderare qualcosa. Solo così, secondo Kěm, si troverà la pace dei sensi. A lui, però, non interessava che gli altri seguissero il suo percorso spirituale. Egli non voleva niente.

"Cantiamo?", chiese Řüğta.
"No, non mi va", rispose Kěm.

Řüğta non capiva le emozioni di Kěm, ella voleva renderlo felice, ma egli non voleva essere felice, solo che ella non lo sapeva.

"(Se continua così non voglio più essere sua amica)", pensò Řüğta.

Řüğta era un po' frustrata dal fatto che Kěm non aveva desideri. Ella capì che stare con una persona che si comporta così è molto difficile. Ciò che rendeva così difficile il rapporto era non solo il fatto che lui non aveva desideri, ma anche che non voleva esaudire quelli degli altri.

"Vuoi un abbraccio?", chiese Řüğta.
"Non mi piacciono gli abbracci", rispose Kěm.

Řüğta rimase vicina a Kěm in silenzio senza fare o dire niente. "(Se è questo che vuole, va bene, lo accontento)", pensò lei.

Stettero così, e c'è poco da raccontare su due che stanno fermi e zitti, quindi passiamo a un'altra scena.

Le persone più colte di Ežuk continuavano a speculare sui benefici del calendario.

"Ora tutti noi avremo potere sul tempo, potremo controllarlo a nostro piacimento, acquisiremo nuove consapevolezze e non vivremo più come nei tempi passati, ignoranti e grezzi, da adesso saremo liberi", disse Iŋaŝæ, felice.

"Non essere così felice, il calendario non ci proteggerà dalla fame e dalle malattie, moriremo comunque", disse Řbuč.

"È vero, ma da oggi potremo sapere esattamente quando nasce e quando muore una persona, è già un buon inizio", rispose Ubitëť, ottimista.

"Un buon inizio? Le persone continueranno a morire e a soffrire, per sempre. Gli dei ci hanno maledetto per i peccati dei nostri antenati, conosci la leggenda, vero? Non possiamo ribellarci, questo è il nostro infelice destino", disse Řbuč.

"Ascoltami, Řbuč, io sono ottimista, vedremo come andrà la vita con il calendario, io penso che tutti noi usciremo vittoriosi da questa misera condizione, presto nessuno soffrira più, tutti avranno tutto ciò che vorranno, e la vita sarà perfetta. Il calendario sarà la nostra salvezza!", disse Ubitëť.

Řbuč pensava che Ubitëť fosse pazzo.

"Tu non capisci niente, non è cambiato niente in tutto questo tempo, perché dovrebbe cambiare proprio adesso? Non credi che sia un pensiero un po' egocentrico?", disse Řbuč.

"L'umanità prima di adesso ha vissuto senza calendario, da oggi le cose cambieranno", disse Ubitëť.

"A questo punto non so se crederti o no, vedremo cosa succederà in futuro", disse Řbuč.

Furono tutti d'accordo sul fatto che, anche nel caso che il calendario non li salverà dalla fame e dalle malattie, sarà comunque un'invenzione molto utile. Avevano riposto moltissime speranze nel calendario.

"Cerchiamo di renderci tutti felici a vicenda nonostante le avversità, d'accordo? E se il calendario ci salverà, tanto meglio", disse Ozčup.

Tutti furono d'accordo con lei.

Gli abitanti ignoranti pensavano che il calendario fosse inutile. Volevano cibo in abbondanza, cure mediche e qualche guerriero che proteggesse Ežuk dai mostri che ogni tanto varcano i confini del villaggio.

"Ma mamma, con il calendario potremo sapere ogni cosa, io lo prendo!", disse Üžabif, una giovane studentessa interessata alla conoscenza.

"Il calendario non ti darà da mangiare", disse sua madre.

"Mangiare non è l'unica cosa che si può fare nella vita, io andando a scuola ho imparato molte cose, e i colti probabilmente risolveranno questi problemi con le loro geniali idee" - "Non credo proprio, nessuno risolverà il problema della fame, ohh ma cosa ti mettono in mente a scuola?"

Detto questo, la madre di Üžabif se ne andò, sconfortata dal fatto che la sofferenza nel mondo non andrà mai via.

Intanto, nella campagna circostante, c'erano delle persone che facevano musica con i flauti, i tamburi e le voci. Cantavano su quanto i calendari li salveranno. Gli ascoltatori si emozionarono e furono davvero felici. Tutto il dolore dell'umanità ora scomparirà e saranno felici per sempre. È un finale felice, e se lo meritano dopo tutta la sofferenza che hanno sopportato. Tutti sorridevano e ballavano allegramente per la fine della loro angoscia.

"Ormai tutto (il male) è finito", disse Đüŝpěk a Ťöğim, quasi in lacrime per la gioia. Non riuscivano a credere che qualcuno aveva inventato il calendario.

Řüğta e Kěm erano ancora fermi e zitti.

"Vuoi chiacchierare?", chiese Řüğta, rompendo un lungo periodo di silenzio.

"Perché? Sto così bene qui con te, parlare rovinerebbe l'atmosfera", rispose Kěm.

Řüğta tornò silenziosa. Si stava annoiando e voleva fare qualcosa.

"Voglio stare con te ogni giorno", disse Kěm.

Řüğta si lamentò in silenzio.

"Qualcosa non va?", chiese Kěm.
"Io mi sto annoiando, ti prego facciamo qualcosa" - "D'accordo, cosa vuoi fare? (Io non ho voglia di fare nulla, come glielo posso dire?)" - "Ho voglia di sdraiarmi sul letto, sono stanca di stare in piedi, mi fai compagnia?" - "Certo!".

A Kěm questo andava più che bene. Dopotutto, non doveva fare niente di particolare.

Řüğta si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi. Stettero fermi e in silenzio per tutta la sera. Stavano entrambi bene, ma mancava qualcosa.

"Toccami la mano", disse Řüğta.
"Perché?" - "Perché mi piace, toccami la mano e potrai stare fermo e zitto per tutta la sera".

Kěm le toccò la mano e stettero così per tutta la sera.

I colti di Ežuk smisero di parlare del calendario e si congedarono.

"È stata un'ottima chiacchierata, e in futuro vedremo se il calendario sarà davvero così potente", disse Ubitëť, ottimista come sempre. Tutti furono d'accordo di discutere nuovamente sui benefici del calendario l'anno 2, giorno 1 (esattamente un anno dopo).

Il Sole tramontò alle 75:00 (ogni giornata è divisa in 100 ore, e ogni ora è divisa in 100 minuti. In realtà un giorno dura 24 ore, e perciò un'ora dura circa 14 minuti e un minuto dura circa 8 secondi)

Il Sole tramontò alle 75:00, essendo l'equinozio di primavera e, poiché iniziava a fare buio, le persone iniziavano ad andare a dormire.

"Devo andare, Řüğta", disse Kěm, ritraendo la sua mano dalla sua.

"È stato bello", disse Řüğta, mezza addormentata.

Mentre Kěm camminava per le strade per tornare a casa, egli sentiva una sensazione strana dentro di sé. Si chiedeva se la vita fosse davvero così terribile come pensava. Pensava alla sofferenza nel mondo, ma stranamente si sentiva bene, sentiva qualcosa di positivo, definitivamente. Sorrise. Mentre il cielo diventava sempre più scuro, Kěm capì che anche se esiste il bello nella vita, siamo tutti destinati a soffrire, perciò smise di sorridere e tornò a casa, e in attesa di un'altra orribile e noiosa giornata, andò a dormire. Fu una notte come le altre, ma in molti nutrirono una grande speranza verso il calendario che secondo loro li avrebbe salvati.

Anno 1, giorno 2.

Ore 32:00, Kěm andò a casa di Řüğta.

"Mi sono divertito con te ieri sera, ti va di passare un'altra giornata insieme?", chiese Kěm timidamente.

Řüğta sorrise e accettò.

"Accendiamo un fuoco", disse lei.
"Lo sai fare?" - "No, ma ci proveremo".

Uscirono fuori, staccarono dei rami da un albero e li buttarono a terra. Cercarono di accendere il fuoco, ma non ci riuscirono.

"Non importa", disse Řüğta.

Camminarono per le strade come il giorno prima.

"Ieri sul calendario ho scritto che siamo stati insieme", disse Řüğta, arrossendo.

"Io non ho scritto niente, semplicemente lo uso per capire in che giorno siamo", rispose Kěm.

"Non vuoi avere ricordi?", chiese Řüğta, perplessa.

"Non mi interessa. La vita non riserva grandi emozioni, in ogni caso", disse Kěm.

"Perché dici così? Io voglio che tu sia felice", disse lei. "Non sarò mai felice" - "Dimmi cosa vuoi e cercherò di accontentarti" - "Non voglio niente".

Řüğta ebbe un'espressione preoccupata.

"Senti, possiamo chiacchierare, correre, cantare, abbracciarci, ballare, giocare, e tante altre cose. La vita è piena di cose da fare!" - "Chiacchieriamo" - "Ottima scelta. Di cosa vuoi chiacchierare?" - "In questa vita non c'è niente di cui chiacchierare. Sii realista, tutto ciò che facciamo è dormire e mangiare" - "Non è vero! Pensa al calendario, e in futuro inventeranno altre cose da fare, sii ottimista!" - "Forse hai ragione" - "Di cosa vuoi chiacchierare?" - "Sul cibo" - "Che cibo ti piace?" - "Mi piacciono gli Üżtkë" - "Anche a me"

Intanto, Üžabif segnava sul calendario ogni cosa che succedeva. Aveva anche una scala personale di freddo e di caldo, chiamata "temperatura", ma non c'era modo di misurarla oggettivamente. Per lei, 0 significava "né caldo né freddo", sotto lo 0 freddo e sopra lo 0 caldo. Ieri la temperatura per lei era -1, leggermente freddo. Il cielo era coperto dalle nuvole grigie, e segnò anche quel particolare. Il suo scopo era capire il clima di Ežuk. Oggi, alle ore 40:00, la temperatura per lei era -1, il cielo parzialmente nuvoloso. Üžabif amava l'idea di poter collocare i fatti oggettivamente in una linea temporale. Sperava che anche gli altri stessero facendo la stessa cosa, ma sapeva che a pochi interessava ricordare i fatti.

Üžabif uscì. Voleva chiacchierare con qualcuno, quindi andò in un centro.

"Voglio chiacchierare con qualcuno. Argomento: calendario", disse Üžabif, con un sorriso soddisfatto.

Dopo qualche decina di minuti arrivò un ragazzo.

"Quella ragazza laggiù vuole qualcuno che chiacchieri con lei a proposito del calendario", disse l'informante.

"D'accordo", disse il ragazzo.

"Ciao", disse il ragazzo, sorridendo.

"Ciao, tu scrivi quello che succede sul calendario?", chiese Üžabif.

"No, ancora non ho capito bene come si usa" - "Ogni giorno devi strappare una pagina" - "Lo so, oggi è il giorno 2, ma onestamente non lo uso per scrivere. Ti confesso che non so scrivere bene" - "Ci vuole molto allenamento, lo so. Come ti chiami?" - "Mi chiamo Eļeŝak" - "Che hai fatto oggi?" - "Oh, non molto. Mi sono alzato, ho mangiato e... che altro? Non c'è molto da fare in questo villaggio" - "(Ridacchia) È vero, tu cosa vuoi fare?" - "Non riesco neanche a immaginarlo, guardiamo cosa vogliono le altre persone. Informante!"

"C'è un ragazzo che vuole esplorare la natura circostante", disse l'informante.

Eļeŝak e Üžabif furono scioccati.

"Ma, ma...", balbettò Üžabif.

"È estremamente pericoloso, ci potrebbero essere degli Öśekp in agguato. Perfavore, avverti quel ragazzo del pericolo a cui incomberebbe", disse Eļeŝak.

"Gli Öśekp sono delle bestie feroci, un umano non ha possibilità di sopravvivere a un loro attacco!", disse Üžabif.

"Onestamente, quel ragazzo mi è sembrato molto bravo a usare lo scudo e la spada. Non è un cittadino qualunque", disse l'informante.

"Gli servirebbero comunque altri cacciatori. È pericoloso andare da solo", disse Eļeŝak.

"È quello che stava cercando", disse l'informante.

"Noi non sappiamo usare le armi, siamo studenti, non cacciatori", disse Eļeŝak.

"Quasi nessuno è abbastanza coraggioso da avventurarsi nella natura", disse l'informante.

"Qualcuno ha accettato?", chiese Üžabif.

"Ancora no, ma forse nei prossimi giorni qualche cacciatore accetterà la richiesta", disse l'informante.

"Altre richieste?", chiese Eļeŝak.

"Una ragazza vuole che qualcuno le racconti una storia vera su posti lontani", disse l'informante.

"Io non sono mai stato fuori da Ežuk", disse Eļeŝak.

"Neanche io... queste richieste sono difficili da esaudire, qual è la richiesta più facile che hai?", chiese Üžabif.

"Una ragazza vuole un bacio sulle labbra da un'altra ragazza", disse l'informante.

"Facile come camminare", disse Üžabif.

"Tornate domani a mezzogiorno, la ragazza sarà qui", disse l'informante.

Üžabif sorrise e continuò a chiacchierare con Eļeŝak.

Il secondo giorno della storia comincia bene per molti, ma a Ežuk, come in tutta la Fonezia, la fame si fa sentire per molte persone.

Un bambino andò dall'informante.

"Perfavore, chiedi a qualcuno se mi dà qualcosa da mangiare, ho fame", disse il bambino all'informante.

"Io ho del pesce", disse Üžabif.

"Grazie", disse il bambino.

"Aspettami qui", disse Üžabif, andando a casa sua per prendere del pesce.

"I tuoi genitori stanno bene?", chiese Eļeŝak.

"Mia mamma è morta di polmonite quando ero piccolo, mio papà è andato a sud per coltivare la frutta e la verdura, io vivo con altri ragazzi della mia età, ma non c'è cibo per tutti", disse, tristamente.

"Arriva Üžabif", notò Eļeŝak.

"Ho portato il pesce cotto", disse lei.

Il bambino ringraziò e mangiò il pesce.

"Grazie davvero tanto, Üžabif", disse.

"È grazie ai pescatori del villaggio se abbiamo il pesce, è grazie agli avventurieri che vanno a prendere l'acqua della fonte se abbiamo l'acqua, io sono solo una studentessa", disse Üžabif, sorridendo.

"È grazie a te se ho mangiato qualcosa", disse il bambino, felice.

Intanto, Řüğta e Kěm stavano continuando a chiacchierare.

"Ti senti meglio?", chiese Řüğta.

"Non molto" - "Vuoi un abbraccio?" - "Non mi piacciono gli abbracci" - "D'accordo, comunque se c'è qualcosa che posso fare per farti sentire meglio, dimmelo (sorride)" - "Voglio sapere quante persone a Ežuk pensano che la vita sia noiosa" - "Andiamo dall'informante"

Řüğta e Kěm andarono dall'informante.

"Voglio sapere quante persone a Ežuk pensano che la vita sia noiosa", disse Kěm.

"Accetti richieste?", chiese l'informante.

"Sì" - "Un ragazzo è convinto di essere il più veloce a correre a Ežuk. Ha vinto numerose gare. Vuole che qualcuno gli dimostri il contrario" - "Non lo farò, sono lento" - "Un ragazzo vuole che qualcuno gli racconti una storia vera o inventata sugli animali feroci" - "Che noia... eh va bene!" - "Torna domani a mezzogiorno" - "D'accordo"

"Anche io accetto richieste!", disse Řüğta, sorridendo.

"Un ragazzo vuole fare dei disegni con qualcuno" - "Oh sì sì va benissimo (sorride allegramente)" - "Torna domani a mezzogiorno" - "Sììì!!!"

"Tu accetti tutto, vero?", disse Kěm, quasi ironicamente.

"Solo le cose che so fare. Se qualcuno mi chiede di andare a pescare con lui non accetto, perché non lo so fare. Altrimenti accetto tutto, perché mi piace rendere felici gli altri", disse Řüğta.

Kěm fece un sorriso leggero. Pensava che fosse un pensiero nobile, ma si annoiava comunque.

"Vedrai che ti divertirai domani, è stata una buona idea venire qui, così ti sono venute in mente cose da fare", disse Řüğta.

"Cosa ho fatto... ho solo oggi per inventare una storia decente, e io non conosco nessun animale feroce!!", disse Kěm, preoccupato.

"Ti aiuto io", disse Řüğta, sorridendo.

"Informante, voglio sapere il nome e la descrizione di un animale feroce", disse Kěm.

"Beh, ce ne sono tanti...", disse l'informante.

"Il più feroce che conosci" - "Ahh... tu parli del Ğëvņu, quelli che sono sopravvissuti dicono che sia alto quanto due case, i suoi artigli uccidono all'istante ed è così veloce che non hai il tempo di urlare aiuto perché sei già morto. I più coraggiosi cacciatori sono sì sopravvissuti, ma nessuno è stato in grado di ucciderne uno" - "Capisco, grazie"

"È un animale davvero mostruoso!! Ti aiuterò a inventare la storia", disse Řüğta.

Anno 1, giorno 3. Ore 30:00.

Řüğta bussò alla casa di Kěm.

"Buongiorno", disse lei, sorridendo.

"..."

"Ti ricordi la storia, vero? Ti sei esercitato?", chiese.

"Sì, credo che riuscirò a raccontarla", disse Kěm.

"Usciamo?", chiese Řüğta.

"Sì".

I due amici uscirono per le strade, Řüğta era tranquilla e felice, mentre Kěm si faceva tante domande sul senso della vita. Era indeciso se parlarne con Řüğta oppure no. Si domandava cosa si poteva fare per divertirsi, si chiedeva il motivo per il quale gli umani esistono, perché esiste la fame, perché esistono le malattie, perché si devono uccidere altri esseri viventi per nutrirsi e sopravvivere. Kěm pensava molto, ma non era uno studente, perché tutti gli dicevano che studiare era difficile.

"Sto pensando di frequentare le lezioni di filosofia", disse Kěm.

"Ah sì? ... Sono contenta per te", disse Řüğta, sorridendo.

"Dico sul serio. Ho tante domande nella mente", disse Kěm.

"Bello! Dimmene qualcuna!" - "Perché noi umani esistiamo?"

Řüğta ebbe un'espressione seria e pensante.

"Non ci avevo mai pensato prima d'ora. Secondo me noi umani abbiamo uno scopo" - "E quale?" - "Essere felici" - "Questa risposta non mi soddisfa. E dimmi, perché dobbiamo uccidere gli animali per sopravvivere?" - "Non lo so... Kěm..."

Řüğta aveva le lacrime agli occhi. Pensava ai pesci e agli animali di terra che vengono uccisi dagli umani.

"Qualcosa non va?", chiese Kěm.

"Niente, Kěm...", disse Řüğta, asciugandosi le lacrime con la propria mano, "...la vita è ingiusta per gli animali, ma gli umani saranno tutti felici", continuò, con un sorriso malinconico.

"E allora come spieghi la morte, la fame, le malattie?", chiese Kěm.

"Secondo me... la vita è brutta, però noi umani cerchiamo di renderla la più piacevole possibile, quindi è bella" - "Spero che tu abbia ragione" - "Tra poco sarà mezzogiorno, entrambi noi dovremo andare a soddisfare le richieste" - "Sì, certo".

Anche Üžabif doveva soddisfare una richiesta: doveva baciare un'altra ragazza sulle labbra.

Mezzogiorno si sta avvicinando, e Řüğta e Kěm si preparano per raccontare la storia.

"Sei stato bravissimo, Kěm!", disse Řüğta.

Üžabif camminava per le strade da sola, pensando al fatto che il calendario salverà tutti dal loro amaro destino. Era felice di questa bellissima invenzione.

Non era ottimista quanto Ubitëť, ma pensava che le cose sarebbero migliorate molto nel giro di pochi anni. Dopotutto, ora possono sapere esattamente quando nasce e quando muore una persona, il clima di una città, quando è successo un evento e tante altre cose. Ad esempio oggi, giorno 3, il cielo è coperto dalle nuvole, e si vedrà quando sarà soleggiato di nuovo, e le generazioni successive sapranno esattamente quando è stato soleggiato. Anche oggi la temperatura per Üžabif è -1, e come sempre lo aveva segnato sul calendario, come tutto quello che le succedeva, del resto. Il futuro sembrava splendere ardentemente.

Řüğta e Kěm andarono dall'informante e aspettarono che arrivasse il mezzogiorno.

"Ora ti abbiamo trovato qualcosa da fare, eheh~", disse Řüğta, sorridendo felicemente.

"Veramente, non so cosa avevo in mente quando avevo accettato, io non voglio fare niente" - "Ora che hai accettato non puoi rifiutare, devi raccontare quella storia. E comunque, fare qualcosa è più divertente che non fare niente" - "Spero che sia vero".

Kěm era confuso, non sapeva cosa voleva, pensava di essere privo di desideri, ma si annoiava a non fare niente. Si chiedeva cosa doveva fare, fare qualcosa o non fare niente? Ormai è troppo tardi, e lo sapeva, era obbligato a soddisfare la richiesta di quel ragazzo, poiché Kěm aveva accettato. Pensava che non fosse così brutto fare qualcosa, non gli interessava più essere puro, quello che voleva era essere libero dai propri condizionamenti mentali, ma allo stesso tempo essere diverso dagli altri. Questa confusione gli creava un senso di disagio interiore, ma ormai la decisione è stata presa, e non può tirarsi indietro.

Arrivò il ragazzo, che sorrise e salutò Kěm.

"Sono pronto per sentire la storia!", disse il ragazzo, sedendosi su una pietra levigata e aspettando che Kěm iniziasse.

L'altro ragazzo stava già disegnando serenamente con Řüğta.

"Disegniamo due amici che si abbracciano!", disse Řüğta, sorridendo.

Intanto, Üžabif stava per baciare una ragazza.

"Vuoi un bacio immediato o uno lungo?", chiese Üžabif.

"Uno lungo", disse la ragazza, sorridendo e socchiudendo gli occhi dalla gioia.

Queste e altre richieste stanno per essere soddisfatte, come ogni singolo giorno. In tutte le città della Fonezia questo succede tutti i giorni.

"Questa è una storia inventata", disse Kěm.

Il ragazzo fu felice.

...

Un ragazzo voleva esplorare la natura selvaggia, così andò ad esplorare la natura selvaggia, e mentre andò ad esplorare la natura selvaggia, vide un Ğëvņu. Il Ğëvņu lo attaccò e il ragazzo morì, però a nessuno importava, perché era un ragazzo molto solo. Non aveva amici e la sua vita era terribile. Nei suoi ultimi momenti di vita aveva finalmente trovato un po' di pace e felicità, prima di soccombere al suo fatale destino. Nessuno sapeva che un Ğëvņu lo aveva ucciso, e pochi si accorsero della sua mancanza, e quei pochi pensavano che si fosse trasferito in una città vicina. Ovviamente, quel ragazzo non fu l'unica vittima del Ğëvņu, molti cacciatori esperti sono stati uccisi da quella bestia, ma c'è stato comunque qualche sopravvissuto in grado di raccontare la mostruosità di quella bestia. Chi ha visto il Ğëvņu dice che sia alto quanto due case e che sia molto veloce.

La vita nel villaggio continuava normalmente nonostante la morte di quel ragazzo, e il Ğëvņu continuava ad aggirarsi per le campagne, senza che nessuno potesse fermarlo. Cinque cacciatori andarono a cacciare qualche animale nella natura per procurare il cibo ai cittadini, uccisero qualche Bežűv, ma all'improvviso sentirono un forte rumore in lontananza. I passi si fece sempre più vicini e i cacciatori sapevano di non avere nessuna speranza, ma presi dal panico iniziarono a scappare. I cacciatori si trovarono a metà strada tra il villaggio e la morte. Correndo, iniziarono ad avere il fiato pesante e dolore ai fianchi, ma non potevano smettere di correre, perché sarebbero morti. Mancavano poche decine di altezze per arrivare al villaggio, ma i cacciatori non riuscivano più neanche a respirare a causa della fatica. Alla fine riuscirono ad arrivare al villaggio, ma caddero a terra sfiniti e tossirono pesantemente. Con voce fioca urlarono:"Acquaaa...". Arrivò un signore anziano che diede loro un bicchiere d'acqua. Una volta che i cinque cacciatori si ripresero, donarono alle persone più affamate la carne che avevano ottenuto cacciando. Non dissero niente sul Ğëvņu che avevano visto, anche se avrebbero dovuto.

La vita nel villaggio era tranquilla, tutto andava come doveva andare. I ragazzi e le ragazze giocavano per le strade, ma erano tutti al sicuro da quel mostro. Per quel momento c'era abbastanza carne, pesce e acqua per tutti, perciò nessuno uscì fuori dal villaggio, non c'era bisogno di farlo. Intanto tutti si annoiavano perché, ammettiamolo, la vita fa schifo, quindi per divertirsi sbatterono i piedi per terra per tutto il giorno, per tanti giorni di fila. Questo finché la carne iniziò a scarseggiare, quindi dieci cacciatori andarono a procurarne un po' per il villaggio. Sembrava tutto tranquillo e quieto, quindi cacciarono abbastanza Bežűv da sfamare cento persone per dieci giorni. Cioé... tanta carne di Bežűv. Tornarono nel villaggio tranquillamente: non c'era traccia del Ğëvņu, e i dieci cacciatori neanche sapevano della sua presenza. Appena tornati nel villaggio cucinarono la carne per loro stessi e donarono la carne di Bežűv a cento persone. Prometterono di prendere altra carne molto presto, e intanto si goderono la loro noiosa vita. Si sedettero sulle sedie tutto il giorno, e non fecero altro che mangiare e dormire per tutto il giorno perché non c'è nient'altro da fare nella vita. Intanto, la carne continuava a scarseggiare. Questa volta, venti cacciatori si avventurarono per la natura e portarono tanta carne al villaggio. Gli abitanti ringraziarono e mangiarono abbondantemente, sembrava che la carestia si stesse calmando, e così continuò per un anno, ma ci fu un giorno in cui il Ğëvņu ricomparve. Questa volta quaranta cacciatori si avventurarono nella natura e videro una bestia colossale, alta quanto due case. Sapevano di essere morti, ma trentasette di loro riuscirono a sopravvivere. Avvertirono agli abitanti del villaggio di una bestia enorme chiamata Ğëvņu e molti ebbero paura. Un bambino chiese loro se il Ğëvņu fosse davvero così grande e pericoloso come dicevano le leggende, e i sopravvissuti affermarono. Dissero che tre cacciatori erano morti, uccisi da quel mostro spietato. Gli informanti attivarono l'allerta, ma il Ğëvņu non se ne andò dalle campagne, per cui i cacciatori non potevano più cacciare e iniziò un periodo di carestia. Alcuni abitanti morirono di fame e molti erano in condizioni estreme. Una ragazza si lamentò della fame ai suoi genitori, ma essi risposero che non c'era cibo neanche per loro e che erano dispiaciuti. Quel villaggio era in serio pericolo, e quando la natura circostante fu libera dal Ğëvņu, già più di duecento persone erano morte di fame e di sete. È stata una carestia terribile, ma i cacciatori e i pescatori procurarono nuovo cibo per gli abitanti sopravvissuti. Alcuni, anche con il nuovo cibo, morirono comunque, perché erano in cattive condizioni di salute. Dopo la carestia, la vita nel villaggio tornò alla normalità, e i cacciatori sperarono di non vedere mai più quella bestia feroce. Essi ripresero a cacciare, passarono mesi e il Ğëvņu non si fece più vedere. Vederlo è stato terribile, quel mostro uccise da solo quattro persone in tutto il villaggio. Sembrava che la sofferenza causata dal Ğëvņu fosse finita. Certo: la fame e le malattie c'erano ancora, ma fa parte della natura, ma comunque il Ğëvņu non dava più fastidio a nessuno, probabilmente si era spostato in un'altra zona disabitata e quindi i cacciatori erano al sicuro, ma in ogni caso gli abitanti decisero di non festeggiare, perché non erano sicuri di essere completamente al sicuro, altre bestie feroci, anche se meno feroci di quella, potevano comunque aggirarsi per la natura, anche se non importava perché i cacciatori riescono a sconfiggerle e ci sarà tanta carne per tutti. La vita nel villaggio continuava a essere normale, i ragazzi giocavano per le strade e anche nelle case, la fame affligeva pochissime persone e si può dire che mediamente si stava bene. Un ragazzo non cacciatore decise di andare nella natura accompagnato da un cacciatore, per fortuna non ci furono animali feroci, e il ragazzo non ebbe paura perché fu molto coraggioso. La natura donava piacere alla vista, c'era una distesa d'erba che sembrava infinita e delle montagne che innescavano la curiosità di esplorare posti lontani.

Ora che la carestia è finita, la vita sembra di nuovo bella. Certo, le malattie continuano a esserci, ma gli abitanti sono felici e i ragazzi possono giocare nuovamente e fare ciò che vogliono. Una giovane ragazza voleva imparare a leggere e scrivere, e un insegnante glielo insegnò. Scrisse una breve storia e per essere suoi amici bisognava leggere quella storia. Quella storia raccontava di un periodo ideale della nostra Terra, un paradiso dove non esistevano la fame e le malattie, e dove non c'era bisogno di mangiare per sopravvivere. Voleva far capire a tutti che la Terra fosse un posto orribile e che non si poteva fare niente per migliorarla, se non capire che è un posto brutto. Molti furono d'accordo con lei, ma solo in parte. Un ragazzo le disse:"Ciò che rende brutta la Terra è la natura, che è spietata con tutti gli esseri viventi. Però... pensa al fatto che gli esseri umani sono tutti buoni con gli altri e che cerchiamo tutti di aiutarci gli uni con gli altri, questo non ti fa sentire meglio? Immagina se nel mondo le leggi fossero decise solo da alcune persone potenti anziché da noi. Il mondo sarebbe invivibile. Immagina se tutti ti giudicassero per come ti vesti, anche dopo che glielo hai vietato, e nessuno facesse nulla per prevenirlo. Come ti sentiresti?". La ragazza rispose:"Il mondo che descrivi è impossibile e non è realistico. Mettiamo il caso che fosse così, sarebbe estremamente spiacevole, ma guarda in faccia la realtà, il mondo è già orribile, tante persone muoiono di fame e di malattia, cosa c'è di bello in questo?". I due trovarono un compromesso: il mondo è sia brutto che bello, e questo fa parte della nostra avventura che tutti noi viviamo.

Il Ğëvņu non si faceva vedere da mesi, ma i cacciatori e i pescatori del villaggio furono cauti, perché non volevano essere colti all'improvviso. Fecero sempre molta attenzione ai rumori che sentivano, ma non videro più il Ğëvņu, perciò furono abbastanza tranquilli e come al solito cacciarono i Bežűv per portare la carne al villaggio. Si chiesero dove fosse il Ğëvņu e soprattutto se tornerà mai a maledire la loro terra, ma allo stesso tempo provarono rispetto e paura per la sua incredibile potenza.

Portarono la carne e il pesce nel loro villaggio e ce ne fu così tanta da sfamare tutti gli abitanti del villaggio per 3 giorni. Sembrava che tutto finalmente si fosse risolto, però un giorno un ragazzo ebbe una febbre molto alta e non c'era modo di curarla. Tutti andarono da lui ed esaudirono il suo ultimo desiderio: cantare e ballare una canzone per accompagnarlo nel regno dei morti. La sua ultima parola fu:"Grazie". I suoi fratelli e le sue sorelle si misero a piangere, avrebbero voluto giocare ancora con lui, ma non potevano farlo.

La ragazza che scrisse la storia del paradiso terrestre si rattristì sentendo la notizia e fece capire a tutti quanto in realtà il mondo sia crudele senza motivo: fece notare che quel ragazzo non aveva fatto assolutamente niente di sbagliato. I colti dissero che stavano cercando una soluzione per sconfiggere la morte, ma che ci sarebbero volute alcune generazioni per poterlo fare. Dicevano che avrebbero vinto prima o poi, di avere fiducia nella loro sapienza, dicevano che avrebbero trasformato la Terra in un paradiso. Purtroppo a quei tempi non c'era il calendario come adesso, quindi non avevano il controllo sul tempo, e perciò neanche sulla morte. Ma tutto questo è successo tantissimi inverni fa, non sapevano che anche dopo così tanti anni la Terra sarà ancora un posto orribile e che l'unica cosa che cambierà sarà che inventeranno il calendario. Ora dobbiamo sperare che i colti risolveranno tutto. Dopo così tanti inverni da questa storia inventata ma che comunque rispecchia la realtà di tutti i giorni e che quindi è realistica, non è cambiato niente, le persone muoiono ancora di fame e di malattie, però noi tutti abbiamo fiducia che i colti risolveranno tutti i problemi del mondo e che finalmente saremo felici per sempre. Avremo tante cose da fare che adesso non esistono e il tedio non ci assalira più. Le future generazioni non conosceranno la parola "sofferenza" e saranno grati per ciò che avranno. Canteranno allegramente per le strade e sarà un lieto fine.

Per quanto riguarda il Ğëvņu: si dice che possa arrivare qui a Ežuk, ma nessuno lo vuole: se lo vedi sei morto. Anche i cacciatori esperti soccombono al suo attacco. Si dice anche che il Ğëvņu non possa essere sconfitto, e che la sua presenza porti carestia nei villaggi circostanti. Speriamo che il Ğëvņu non arriverà mai in questo villaggio. Certo, la sua forza è ammirevole, ma è sempre meglio che stia il più lontano possibile. Ogni cacciatore lo teme, è davvero spaventoso. Si dice che si sposti di terra in terra, ma nessuno ci assicura che non arriverà mai vicino a Ežuk. Se arriverà qui, i cacciatori non potranno più cacciare e portare l'acqua nel nostro villaggio, e moriremo di fame e di sete dopo pochi giorni. Secondo la descrizione di chi lo ha visto ed è sopravvissuto, è di colore simile al legno, ha il pelo folto sul corpo e sulla testa, ma ne è privo sulla faccia. Le sue zampe hanno degli artigli con cui distruggono ogni cosa esistente, anche la più resistente. Si dice che bisogna fare attenzione, perché può attaccare con qualsiasi parte del suo corpo, e non ha alcuna pietà. Fine della storia.

...

"Ti è piaciuta la storia?", chiese Kĕm

"Sì, amico, hai talento"

Kĕm si sentì un po' strano, sentì una sensazione insolita. Si sentiva felice, e non pensava più che la vita fosse solo tristezza. Kĕm sorrise.

"Sai, dovrei accettare richieste più spesso", disse Kĕm, sorridendo.

"C'è anche un'altra cosa che puoi fare. In questo villaggio c'è un luogo di incontro dove puoi conoscere nuovi amici" - "Tu vuoi essere mio amico?" - "Dipende, a quali condizioni?"

Kĕm ripensò alle sue vecchie regole come:"Non abbracciarmi" e "Non essere troppo allegro con me", e voleva cambiarle.

"Devo fare nuove regole", disse Kĕm.

"Vai dall'informante allora" - "Lo farò, mi accompagni?" - "Certo"

Andarono dall'informante.

"Voglio cambiare le mie regole", disse Kĕm.

"Dimmi" - "Hmm... non so se mi piacciono gli abbracci"

Il ragazzo disse:"Se vuoi ti posso abbracciare io" e sorrise.

"D'accordo", Kĕm accettò.

I due si abbracciarono.

"No, non mi piace", disse Kĕm.

"La regola 'non abbracciarmi' vale ancora. Però... se vogliono possono essere allegri.

Regola numero 1: non abbracciarmi
Regola numero 2: non parlare di attività fisica e non suggerirmela
Regola numero 3: non ignorare la fame, la morte e le malattie. Voglio dire, esistono, e quindi non dire che la vita è solo bella e tutte queste stupidaggini simili a questa.
Regola numero 4: non ballare davanti a me, mi dà fastidio
Regola numero 5: se vuoi puoi sorridere ed essere allegro, ma parla in modo calmo e non esultare
Regola numero 6: non insistere a suggerirmi di fare qualcosa per 'stare meglio'. So io cosa mi fa stare meglio. Me la puoi suggerire una volta, ma se dico di no è no"

"Per me va bene", disse il ragazzo, sorridendo.

"Quali sono le tue regole?", chiese Kĕm.

"Uno: voglio che mi racconti almeno una storia ogni 20 giorni. Ovviamente anche se non lo fai possiamo essere amici lo stesso, ma preferisco se lo fai. Due: non insultarmi, non prendermi in giro e non mettermi in imbarazzo Tre: non urlare Quattro: le cose che ci diciamo devono rimanere tra me e te

E basta credo"

"Per me va bene... come ti chiami?", disse Kĕm.

"Püŝmuđ"

"Diventeremo ottimi amici", disse Kĕm.

Intanto, Üžabif stava baciando una ragazza. Si sentirono davvero bene, furono molto felici e pensarono che la vita fosse un paradiso. Niente poteva rovinare questo momento. All'improvviso iniziò a piovere e questo dette un po' fastidio alla ragazza, ma come detto prima, niente poteva rovinare questo momento. La pioggia bagnava i capelli delle ragazze, e tutto sembrava perfetto. Fu il momento più bello della vita di quella ragazza, ma non quello di Üzabif, perché il momento più bello della sua vita fu quando scrisse una frase per la prima volta. Tutto era calmo e sereno e questo momento rendeva entrambe molto felici. Üžabif mise le sue mani intorno alla schiena della ragazza. Il bacio durò circa due minuti (circa 17 secondi in unità di misura terrestri), poi smisero e si sentirono molto felici. Era una felicità che la ragazza non aveva mai sentito prima di allora. Era incantata.

"Grazie Üžabif", disse la ragazza, sorridendo felicemente.

"Come ti chiami?", le chiese Üžabif.

"Io mi chiamo Z̥át̎a... diventiamo amiche?", disse, sorridendo.

"Per me va bene", disse Üžabif.

Non chiesero le regole le une delle altre, perché se qualcosa non andava bastava dirlo.

"A me basta che tu non mi picchi e non mi insulti", disse Z̥át̎a.

"Non lo farò mai, non è da me, vuoi qualcosa?", chiese Üžabif.

"Non è necessario che mi baci di nuovo, ora so cosa si prova", disse Z̥át̎a.

"Vuoi qualcosa?", chiese nuovamente Üžabif.

"Voglio chiacchierare", disse Z̥át̎a.

Z̥át̎a e Üžabif chiacchierarono per molte ore (un'ora in Fonezia sono circa 14 minuti), e poi decisero di separarsi per poi rivedersi domani.

Intanto, Řüğta e Viuk̆a (il ragazzo che voleva disegnare con qualcuno) stavano disegnando due persone che si abbracciavano.

"Sei bravo a disegnare", disse Řüğta, sorridendo.

"Grazie, io disegno fin da quando ero piccolo", disse Viuk̆a, fiero di sé stesso.

Řüğta fu felice.

Continuarono a disegnare, ma Viuk̆a non aveva abbastanza colori, perciò non coloravano, ma si capiva bene ciò che quel disegno rappresentasse.

Řüğta e Viuk̆a erano davvero felici, perché gli umani sono amichevoli tra loro.

Řüğta rifletteva su ciò che Kĕm le aveva detto: il mondo è brutto perché non c'è niente da fare, c'è la fame e ci sono le malattie che (entrambe) causano morte e sofferenza. "È davvero così, e questo non si può ignorare, ma non si può neanche pensare solo a quello e deprimersi", pensò Řüğta, decidendo di provare di nuovo felicità. Tutto sembrava così confuso, ella si chiedeva se la vita fosse bella o brutta. Stava riflettendo sul fatto che stava considerando il fatto di diventare una studentessa. Voleva capire molte cose sul mondo, non voleva più essere ignorante. Inutile.

Un'inutile e rozza ragazza. No.

Nonostante questi insoliti pensieri negativi, Řüğta sorrise e continuò a disegnare allegramente.

"Ti va di disegnare una casa?", chiese Řüğta

Viuk̆a accettò e disegnarono una casa: la casa che entrambi desideravano avere.

"Un giorno vivremo (ognuno in due case separate) in una casa simile a questa!", disse Řüğta.

Viuk̆a sorrise e fu felice. Řüğta non pensò più alle cose brutte, capì che bisogna accontentarsi delle cose belle e ignorare le cose brutte... "anche se..., non devono essere ignorate secondo me... oh no! Cosa devo pensare?", si chiese tra sé e sé. Era davvero tanto confusa.

I due continuarono a disegnare e a chiacchierare. Sia Řüğta, sia Kĕm sia Üžabif avevano esaudito le richieste di altre persone e si sentirono tutti soddisfattu. Erano davvero felici di quello che avevano fatto. Soddisfare le altre persone porta felicità a quasi tutti coloro che lo fanno e che lo ricevono, insomma, vincono tutti. Purtroppo, però, a volte non si sa cosa si vuole di preciso, e la noia pervade lo spirito di queste persone. Considerata la pochezza di attività fattibili, questo è un problema comune in Fonezia, ma i colti stanno cercando di eliminare la noia in tutte le terre emerse.

Il giorno finì.

Anno 1, giorno 4.

Kĕm andò da Řüğta e le disse che si era divertito a raccontare la storia. Řüğta sorrise.

"Ci siamo entrambi fatti degli amici", disse Kĕm.

"Sono felice che ti sia piaciuto, tuttavia, ho riflettutto su ciò che mi hai detto, specialmente sul fatto che la fame e la malattie non vanno ignorate. Secondo te cosa si può fare?" - "Secondo me la vita va vissuta, tenendo in considerazione il fatto che le cose brutte possono capitare a chiunque"

Řüğta stava riflettendo, ma interiormente era indecisa. Da un lato voleva continuare a essere l'allegra e gentile ragazza che è sempre stata, dall'altro non voleva più che la propria realtà venisse filtrata in questo modo.

Poco dopo, cambiarono argomento, chiacchierando e camminando come sempre. Ad un certo punto, finirono gli argomenti e stettero in silenzio. Si sedettero su una pietra e guardarono il cielo, grigio come sempre. Kĕm pensava al fatto che la vita poteva a volte essere moderatamente divertente, ma che la verità è che la noia e la sofferenza sono le emozioni predominanti.

Il tempo scorreva, ma Řüğta e Kĕm continuavano a stare fermu e immobili, con pochi pensieri nel loro cervello. Come si possono descrivere scene dove non succede niente? In ogni caso, Kĕm era tranquillo per i suoi standard. Solitamente prova disagio nel vivere, ma da ieri le cose stanno cambiando. Dopo aver raccontato a Püŝmuđ la storia sul Ğëvņu, si sentiva un po' meglio, perché aveva capito che la gentilezza aiuta a vivere più felicemente. Kĕm riteneva di aver ricevuto molti atti di gentilezza da Řüğta, ma anche se ella provava a renderlo felice, Kĕm non si sentiva felice. Per questo motivo, Kĕm si sentì di avere uno scopo nella vita: rendere felici le altre persone.

Kĕm era indeciso se confessare questo pensiero a Řüğta: pensava che sarebbe stato giudicato negativamente e aveva paura che lei gli dicesse frasi del tipo:"Devi essere felice tu, gli altri non sono importanti". Per questo motivo, stette zitto.

Egli pensava a cosa Řüğta volesse in questo momento. Pensava che la vita fosse talmente limitata, che anche il tipo di desideri possibili fosse limitato. Rifletteva su quali fossero i desideri possibili:

- Correre
- Cantare
- Chiacchierare
- Ballare
- Abbracciarsi
- Baciarsi
- Fare sesso
- Mangiare
- Raccontare storie
- Disegnare

E poi? Esistono solo questi 10 desideri? Kĕm rifletté a lungo e capì che la vita fosse estremamente limitata e che gli sarebbe piaciuto vivere in una realtà alternativa dove ci sono tante cose da fare e soprattutto dove la vita non è uguale ogni giorno, come invece accade in Fonezia.

"Cosa vuoi fare?", chiese Kĕm, convinto che Řüğta dirà una delle cose che egli ha pensato.

"Facciamo finta che stiamo combattendo contro dei mostri", disse Řüğta.

"E come?", chiese Kĕm.

"Prendiamo un ramo: quello sarà la nostra spada, e i mostri li immaginiamo" - "D'accordo, se è questo che vuoi..."

Kĕm fu sopreso: pensò che la vita fosse meno limitata di ciò che egli stesso pensava. Esistono anche altre attività da fare, però Kĕm non le conosceva.

"C'è qualcosa che voglio, Řüğta", disse Kĕm.

"Cosa vuoi?", disse lei, sorridendo.

"Voglio che mi fai una lista di cose da fare" - "Vediamo... abbracciarsi, farsi le carezze, sorridere, consolare una persona triste, chiacchierare... non so che altro".

Kĕm trovava queste cose noiose.

"Che noia...", disse Kĕm.

"Io ho la soluzione, fingiamo di combattere contro i mostri!" - "No, sono veramente stanco, io mi sdraio per terra e dormo" - "È scomodo?" - "No" - "Preferisci sdraiarti nel tuo letto?" - "D'accordo".

Řüğta andò a casa di Kĕm ed egli si sdraiò nel proprio letto. Pensare lo aveva fatto stancare.

"Vuoi che ti accarezzo la testa mentre cerchi di dormire?" - "No" - "Le braccia?" - "Non mi piace essere toccato" - "Capisco".

Řüğta capì che ognuno ha i propri gusti e che non a tutti piace essere toccati. Inoltre, Kĕm non vuole che si insista dopo che ha detto di no.

Řüğta si guardò attorno e si sforzava di non annoiarsi. Kĕm, dopo poche ore (un'ora fonetica = circa 14 minuti) si addormentò, e Řüğta si annoiava pesantemente, ma decise comunque di rimanere con Kĕm per fargli compagnia.

Rimase con lui fino al momento in cui Kĕm si svegliò, cioé dopo 10 ore.

"Ho fame, voglio mangiare", disse Kĕm, andando a mangiare un piatto di carne di Žubk, che mangiò fino a saziarsi completamente.

"Ora ho tutta la energia che mi serve", disse Kĕm, serio.

"Combattiamo contro i mostri immaginari?", chiese Řüğta.

"No", rispose Kĕm.

Řüğta si stava annoiando e si sentiva a disagio. Kĕm non capì questo, e anche se voleva rendere felici gli altri, non capiva che la soddisfazione di un desiderio portà felicità, questo è importante.

Kĕm pensava che difficilmente una persona potesse essere felice, e pensava che solo accettando le cose negative si sarebbe potuto essere felici. Solo accettando la fame, le malattie e la morte si poteva raggiungere la felicità. Per questo motivo, Kĕm iniziò a interessarsi al male del mondo, ma fu cauto: non voleva parlarne con Řüğta, perché lei è una ragazza allegra, mentre Kĕm è tutto l'opposto. Nonostante questo, i due sono ottimi amici.

Kĕm decise di non parlare di morte e sofferenza con Řüğta, così uscirono fuori di casa, camminarono e stettero zitti. Nonostante le estreme differenze di personalità, Kĕm e Řüğta sono ottimi amici e ai due piace stare insieme l'uno con l'altro.

"Sai, anche se ho le giuste energie, non voglio comunque fare niente. Non so perché, è come se non potessi mai provare gioia, cosa mi succede secondo te?", chiese Kĕm.

"Mi dispiace Kĕm, come ti senti quando fai qualcosa di bello?" - "Mi sento vuoto" - "E quando non lo fai?" - "Vuoto comunque" - "Se non cambia niente, perché non fai nulla?" - "Invece cambia, mi stanco subito di fare qualcosa, è una sensazione terribile, ma ho deciso che cercherò di rendere gli altri felici".

Řüğta sorrise.

"È un gesto molto carino da parte tua, molte persone ti apprezzeranno", disse Řüğta, sorridendo.

Řüğta e Kĕm stettero nuovamente in silenzio. Si sentivano un po' a disagio. Ora che Řüğta ha chiaro che la sofferenza è inevitabile, vuole impegnarsi ancora di più nel rendere gli altri felici.

Come al solito, camminarono per le strade e stettero zitti. Řüğta apprezzava il fatto che Kĕm volesse rendere gli altri felici, lo considerava un gesto nobile da parte sua. Kĕm era ancora indeciso sul senso della vita: si chiedeva perché egli fosse li, perché viveva, e tante altre domande perseguitavano la sua mente.

"Secondo te qual è il senso della vita?", chiese Kĕm a Řüğta.

"Credo che tu me lo abbia già chiesto. Il senso della vita secondo me è essere felici", disse Řüğta, seria e convinta di ciò che diceva.

Un'altra giornata passò, e intanto Üžabif continuò a segnare sul calendario tutto ciò che accadeva. Üžabif è una brava studentessa ma è lontana dall'essere la migliore.

La giornata finì.

Anno 1, giorno 5.

Come sempre, Kĕm andò a bussare alla porta della casa di Řüğta. Questa volta Kĕm sorrise leggermente. Řüğta voleva tanto abbracciare Kĕm ma non poteva farlo, perché Kĕm non voleva essere abbracciato e quindi doveva rispettare la sua opinione.

"Sai, Řüğta, la mia vita non è poi così brutta dopotutto", disse Kĕm, capendo di vivere sì in un mondo ostile, ma che gli amici ti aiuteranno in ogni caso.

"Sono felice di questo", disse Řüğta, sorridendo leggermente. "Che facciamo? Camminiamo e chiacchieriamo come sempre?", chiese lei.

"Sì", rispose Kĕm, sorridendo.

Finalmente Kĕm si sente un po' meglio dopo aver scoperto il potere dell'amicizia. Sperava che non avrà mai nessuna malattia e che morirà il più tardi possibile, ma sapeva bene che il destino fosse crudele. Le malattie colpivano sempre le persone più gentili, e Kĕm odiava la natura, ma sapeva che i colti avrebbero risolto tutto prima o poi.